PROGETTO AVO 20-30. SOGNI E REALTÀ (Claudio Lodoli)

 

Non v’è dubbio che oggi la missione dell’AVO vada reinterpretata, adeguandola ai mutamenti sociali repentinamente accelerati dalle disastrose conseguenze della pandemia.

Allora, volgendo in positivo il prolungato blocco di buona parte delle ordinarie attività sul campo, proviamo ad approfondire le riflessioni sulle prospettive dell’associazione nel medio-lungo termine.

Prendiamo atto che è giunto il momento di riscrivere il paradigma del volontariato ospedaliero, studiando con le direzioni delle strutture nuovi criteri e soluzioni innovative – anche tecnologicamente supportate – per un servizio adeguato ai tempi e gestito in sicurezza anche senza un virus mortifero in giro. In questi frangenti è buona prassi iniziare il percorso ascoltando le voci della base: nel caso specifico fa agio la raccolta delle proposte che i presidenti delle AVO d’Italia hanno illustrato durante le videoconferenze regionali e federali dei mesi scorsi.

A seguire, con la collaborazione di Atenei interessati alle problematiche del Terzo settore e accedendo a finanziamenti mirati, si può varare un grande progetto finalizzato all’analisi e alla classificazione di quella miniera di materiali, preziosi ai fini di una mappatura delle competenze, delle istanze e delle esperienze rilevate nelle aree geografiche del Paese.

A supporto e a completamento dell’indagine, in partnership con il Forum del Terzo settore e il CSV net, si dovrebbe costituire un Gruppo di studio dedicato da una parte alla rilevazione dei bisogni consolidati e di quelli emergenti nei territori; dall’altra alla classificazione delle risposte offerte a tali bisogni dalle diverse associazioni di volontariato, con particolare riguardo alle associazioni attive nelle aree in cui l’AVO è presente.

Gli esiti delle due ricerche, oltre a fornire utili indicatori, evidenzierebbero gli incroci tra punti di forza e di debolezza dei soggetti coinvolti, dunque la complementarità dell’AVO rispetto ad altre organizzazioni con cui stabilire accordi di collaborazione a livello regionale e nazionale.

In questa drammatica fase della storia, anche l’AVO è giunta ad un bivio privo di segnaletica. Va da sé che, per scongiurare pericolose situazioni di stallo e di incertezza, urge una rapida decisione sulla via da seguire:

  • Dare risposte immediate alle pesanti conseguenze delle clausure, offrendo in tempi brevi varie forme di sostegno alle associazioni territoriali e salvaguardarne per quanto possibile l’integrità.
  • Investire tutte le risorse in un piano di ampio respiro che accompagni l’AVO nel cuore del XXI secolo, attraverso un coraggioso processo di rifondazione del quale saranno protagoniste le giovani generazioni. Un progetto scandito temporalmente dalle pietre miliari dei risultati intermedi, pilastri dell’obiettivo finale che coinciderà con l’inizio di un nuovo progetto.

Siamo tutti consapevoli che il prossimo, decisivo appuntamento per l’Associazione sarà il confronto con i giovani della digital generation, in un contesto in cui il ricambio generazionale, le competenze degli iscritti, la qualità dell’offerta formativa e l’efficienza dell’organizzazione determineranno le prospettive di sviluppo, se non la sopravvivenza della nostra associazione.

Quando a metà del secondo mandato di presidente federale, una sera manifestai ad Erminio Longhini il rammarico di aver lavorato quattro anni per gettare le basi del rinnovamento strutturale della Federavo senza poterne verificare l’efficacia e governarne gli esiti, sorridendo mi rispose:

«C’è chi semina e chi raccoglie … Chi vuole raccogliere in fretta ciò che semina, non avrà un buon raccolto e non lascerà nulla da raccogliere agli altri».

Se concordiamo sulla saggezza delle sue parole, allora questo è il tempo di schiudere l’orizzonte dell’AVO alla visione prospettica riflessa nella dimensione progettuale di un’idea che miri ben oltre la soddisfazione delle istanze cogenti, alle quali si deve pur rispondere. Di conseguenza le singole iniziative di immediata necessità dovranno essere contenute all’essenziale, e realizzate come mattoni Lego che, apparentemente sparsi a caso, diverranno componenti armonicamente inglobati nella costruzione finale: ovvero nel nuovo assetto complessivo dell’Associazione.

L’AVO è stata un’apripista e per tre lustri ha fatto l’andatura, tirando dietro di sé molte altre formazioni che – a partire dagli Anni Novanta – hanno conosciuto una forte espansione grazie all’erogazione di servizi qualificati e di immediata utilità per i fruitori. D’altra parte, condizionati della primogenitura e sull’onda del successo iniziale, noi abbiamo continuato per la nostra via, mietendo però il frutto di semine sempre meno abbondanti. Il calo progressivo degli iscritti, percepito fin dal primo decennio del secolo, è stato accertato dai due recenti censimenti che, inoltre, hanno sancito la crescita costante dell’età media degli iscritti. Urge dunque un cambio di passo che non escluda alcuna ipotesi funzionale al recupero della centralità dell’AVO nel volontariato sociosanitario.
Da molti anni sostengo che la nostra Associazione ha il dovere morale di intensificare l’interazione con il territorio, per promuovere e diffondere nelle comunità i principî etici e le competenze maturate in quasi mezzo secolo di eccellente impegno sul campo.
Penso, quindi, alla creazione di ampie reti sociali, in cui l’AVO con enti di terzo settore, istituzioni, scuola, università e imprese, sia protagonista nello sviluppo di progetti volti al recupero di un clima di fiducia nelle comunità e al ripristino dell’integrità del tessuto sociale, logoro e sfilacciato ben prima degli effetti deleteri delle misure anticovid-19.
Territorio è la parola-chiave che segnala l’esigenza primaria di contribuire alla diffusione del volontariato di prossimità, nella prospettiva di un forte sviluppo della telemedicina e delle terapie domiciliari, delle Case della salute e – per l’appunto – degli Ospedali di prossimità, mentre prendono corpo progetti di RSA configurate come comunità residenti in piccole unità abitative attrezzate, o promuovendo, ove possibile, forme di cohousing.
Non ho dubbi che i nostri volontari, congiuntamente a colleghi di altre organizzazioni, potrebbero operare con successo nei piccoli centri come in quartieri di grandi città, offrendo la loro consolidata esperienza nella relazione empatica con le persone – non importa per quale ragione – in difficoltà. Quante solitudini si nascondono dietro le finestre delle abitazioni di persone anziane, talvolta anche benestanti, eppure disperatamente bisognose di relazioni sociali indispensabili quanto l’alimentazione. Quanto apprezzerebbero un volontario che si trattenesse per un’ora accanto a loro! Nell’ultimo mio sogno vedo AVO territoriali, AVO regionali, Federavo, strette in un patto fondato sulla fiducia reciproca e sulla leale collaborazione fra componenti dell’unico corpo, per un’AVO rinnovata, giovane, dinamica, aperta alle sfide. Un’AVO inserita in un ampio sistema di relazioni attraverso le quali mutuare o migliorare metodologie operative, percorsi formativi permanenti, tecniche innovative di apprendimento e di comunicazione, strumenti essenziali per i volontari del prossimo decennio.
E alla fine del sogno … alla fine del sogno vedo un’AVO insieme a tanti compagni di viaggio attivi sotto altre sigle, dispiegata a tutto campo verso quella Comunità sanante tanto cara al Presidente Longhini, che, con le sole nostre forze, non vedrà mai la luce.
Mi accorgo di avere esaurito il numero di caratteri consentiti, e allora concludo con una  esortazione: non rinunciate mai ai sogni, che da sempre hanno ispirato le grandi imprese. Tuttavia, affinché i sogni divengano realtà, nulla deve essere lasciato al caso e all’improvvisazione.
Il domani dell’AVO in gran parte dipenderà dalla qualità del nostro lavoro, amici miei! Nei confronti di coloro che verranno dopo, abbiamo una grande, grande responsabilità.