Premio Noi Insieme 2020 – I racconti di: Castellamare, Firenze, Gagliano, Genova, Magenta, Mirandola, Mondovì e Nocera-Pagani

 

Sabato 25 ottobre è stato assegnato il Premio Noi Insieme 2020, sul tema “Parole, Pensieri ed Emozioni al tempo del coronavirus”:

1° posto: “Il caso” di Marisa Cavalli – AVO BELLANO
2° posto: “Una sera sono venuti a prendermi” di M. Giovanna Domenichini – AVO LUCCA
3° posto: ”Negli occhi di Camilla” di M. Antonietta Puggioni – AVO SASSARI – “Il nuovo condominio” di Simona Bevione – AVO TORINO

I racconti vincitori sono stati pubblicati nei giorni scorsi. Vi proponiamo tutti i racconti che non si sono classificati nei primi tre posti, continuando con Castellammare di Stabia, Firenze, Gagliano del Capo, Genova, Magenta, Mirandola, Mondovì e Nocera Pagani.

 

IL CUORE NON SI FERMA (di Francesca Longobardi – AVO Castellamare di Stabia)

Marzo 2020…
Il mondo si è fermato.
Un virus potenzialmente mortale è stato capace di far fermare il mondo.
Un terrore continuo fra le ambulanze a sirene spiegate.
I più fortunati sono stati costretti a restare a casa.
Sembrava irreale.
Uscire di casa tutti con le mascherine, le code per il pane, i medicinali e il supermercato e tantissime altre cose alle quale siamo stati costretti ad abituarci.
I telegiornali hanno perfino smesso di dare notizie.
Di quelle che ci facevano riflettere, piangere, arrabbiare.
Scorrevano e riscorrevano in fondo allo schermo tanto che quasi nessuno ci faceva più caso.
Nient’altro che numeri. Siamo diventati numeri.
Bollettini di guerra. Ed in tutto questo la morte l’ha fatta d padrona, la solitudine da nemica e la disperazione da sovrana.
Io avevo il cuore stretto in una morsa tutte le volte che pensavo agli ammalati ai quali non potevo dare conforto perché nemmeno ai parenti più stretti era concesso.
E così sono passati mesi dove l’incognita era se ci saremmo risvegliati sani oppure saremmo andati ad accodarci a quei numeri che puntualmente salivano nei bollettini quotidiani.
In prima linea, in questa battaglia ci sono stati gli infermieri, i medici, la protezione civile e tanti altri.
Chi poteva aiutava, perché per le persone anziane ammalate, già il fatto di avere la spesa e i medicinali senza essere costretti ad uscire di casa, era una grande cosa ed erano riconoscenti.
Dunque, ci sono stati momenti in cui ci siamo riscoperti fratelli bisognosi gli uni degli altri.
In altre persone invece c’è stata una chiusura a riccio, una diffidenza anche del vicino di coda.
Quanta solitudine, quanta sofferenza in quei letti delle terapie intensive! Medici e infermieri con i volti segnati dalle mascherine e dagli occhiali di protezione. Li abbiamo visti stremati e costretti a turni esasperanti.
Ma cari colleghi Volontari, si è fermato il mondo, ma il cuore non si ferma.
Io vi posso assicurare che in ogni volto che vedevo in televisione, volti piangenti, sofferenti, scoraggiati, c’era anche il mio cuore accanto a quel letto.
Li ho accarezzati con il pensiero e sono sicura che ci ha pensato Dio a portare quella carezza che il mio cuore desiderava tanto dare.
Il momento più straziante per me è stato vedere quei camion militari pieni di bare, sapendo che quelle persone erano morte senza il calore umano di una carezza, di una parola di conforto.
Amici miei, dove non siamo potuti arrivare noi è arrivato il nostro cuore e con essi l’amore di Dio.
Io credo di aver interpretato anche il vostro pensiero ed è per questo che vi ringrazio e mi auguro di poter tornare presto anche fisicamente accanto al letto degli ammalati.
Ma ricordiamoci fino ad allora: si può fermare il mondo ma il cuore non si ferma.

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VIRUS (di Maria Laura Tripodi – AVO Firenze)

Come tutte le notizie del telegiornale ne capisco l’importanza solo quando la loro diffusione diventa ripetitiva. Allora la nebulosa subliminale che è all’inizio prende forme diverse. Me la immagino come un addensarsi che da evanescente diventa sempre più compatto e sempre più scuro. Come se il filo di fumo che esce da una sigaretta e si dissolve in fretta prendesse una consistenza plastica, trasformandosi da filo in gomitolo e da gomitolo in una palla di piombo. Stamattina le immagini nella mia mente sono particolarmente forti. Sarà perché ho sognato male.
Adesso con insistenza maniacale seguo notiziari e dibattiti, non tanto per paura quanto per curiosità.
Io ho continuato la mia vita di sempre ma è la vita di sempre che non è più la stessa.
Il corona virus ha preso tutto lo spazio possibile. Invisibile e proprio per questo pericolosamente invadente.
Adesso non si parla di altro. Come se tutte le altre patologie fossero sparite. Come se la crisi economica fosse solo un riflesso del covid 19, la fame nel mondo un triste ricordo e le guerre improvvisamente cessate.
La natura ha a disposizione mezzi potenti. E’ indipendente e fuori qualsiasi umano controllo. Checché se ne dica.
Ogni tanto tira il freno a mano e lo ha fatto anche adesso. Con un fatto nuovo, e per il momento incontrollabile, ci costringe a una pausa di riflessione.
Perché mai come in queste occasioni è bene ricordare di quanto siamo piccoli, insignificanti e indifesi.
Dal canto mio sono sempre stata affascinata dalla potenza dell’infinitamente piccolo quanto da quella dell’infinitamente grande.
Stanotte guardavo un meraviglioso cielo stellato. C’era il primo quarto di luna crescente e osservando i puntolini luminosi delle stelle mi chiedevo quale fosse la loro reale dimensione.
Forse bisogna chiederselo per tutto ciò che accade.
Forse dobbiamo riconoscere le nostre paure con il loro nome.
Forse il panico può essere vinto con una ragionevole dose di fatalismo.
Forse dovremmo ricordarci che la storia ha messo l’umanità di fronte a sfide apparentemente impossibili, poi vinte con lo sforzo di poche menti eccelse e il contributo di tutti.
Ma soprattutto dovremmo riflettere sul fatto che la strumentalizzazione della paura è un’arma potente. Cerchiamo di non diventarne vittime inconsapevoli.

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L’ULTIMO INGRESSO (di Imma Melcarne – AVO “Don Tonino Bello” di Gagliano del Capo)

Mai avrei immaginato che quell’assemblea generale dei soci, che ci vedeva tutti allegramente riuniti nella sala convegni per deliberare e approvare il bilancio 2020, sarebbe stato l’ultimo ingresso nella struttura che ci aveva accolto dopo essere stati banditi dall’insediamento del nuovo gestore della sede precedente, dove eravamo approdati dopo la chiusura dell’Ospedale che ci aveva visto nascere nel 2002.
Sembrava che finalmente avevamo trovato la sede giusta dove poter svolgere serenamente la nostra opera quotidiana di volontari presso i nuovi nonnetti.
Bellissima accoglienza, sintonia perfetta, empatia e scambio reciproco con nuovi corsi di formazione e organizzazioni varie atte a intrattenere e divertire gli ospiti in varie occasioni. Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per giustificare la nostra presenza nella struttura e per sentirci fortemente motivati e, perché no, anche gratificati!.
Sarebbe stato troppo bello! … così poteva continuare all’infinito … grande soddisfazione nel regalare un po’ del proprio tempo e sentirci dire: “Grazie per quello che fate!”, oppure: “Lu Signore cu ve benedice!”. Quale ricompensa migliore nel sentirsi utili e ben accetti?. E’ il massimo a cui uno potesse aspirare ad un certo punto della propria vita!… Ma poi … succede qualcosa … succede l’impensabile!. Una collega ti telefona a casa mentre ti stai preparando a svolgere il tuo turno quotidiano… e ti dice che non si può più entrare nella struttura … causa … Covid19!. HODDIO che sgomento! Si, già qualcosa si vociferava ma che la notizia cosi fulminante avrebbe messo in guardia la direzione della struttura così tempestivamente!. Si è poi capito subito quanto avessero avuto ragione. Questo nemico invisibile stava già facendo strage di anziani in altre strutture!
Le notizie fulminee, trapelate dai media, non ci hanno lasciato alcun dubbio!. Ma il non poter più vedere i nostri nonnetti, il non poter dare il via ai vari progetti, alle varie organizzazioni in programma al seguito dei lavori rimasti a metà (si avvicinava la Santa Pasqua) e quant’altro, è sicuramente stato per noi l’ennesima sconfitta!. Una sensazione di sgomento con un punto interrogativo rimasto sospeso … “Quando?… Quando avremmo fatto ritorno nella struttura?… Quando avremmo riabbracciato di nuovo i nostri nonnetti?
Da lì subito una lunga riflessione:
“Dio ci ha voluto punire mandandoci questo nemico sconosciuto che ci ha sconcertato tutti i nostri piani di vita!”.
“Ci eravamo forse adagiati un po’ troppo, ritagliandoci ognuno il proprio angolo di paradiso, chiudendoci nel proprio (Io) nella convinzione di essere degli esseri infallibili?…
Chiusa nelle quattro mura della mia casa, amareggiata e delusa, mi sono chiesta se “forse anch’io avrò avuto la mia parte di vanità lungo il percorso di vita e, anch’io avrò peccato di superbia e di presunzione e cercato il mio momento di gloria, anche facendo volontariato”?.
Quello stop così immediato e repentino è suonato per me quasi una punizione per essermi adagiata senza ulteriore sforzo, se non quello di passare un paio d’ore al giorno accanto agli anziani comodamente in una struttura. E’ stato come risvegliarmi da un lungo sonno. Ho aperto gli occhi e ho cominciato a guardare fuori, lontano nel mondo … a tutto quello che succede nel mondo … e tutto è stato più chiaro!… Ci voleva forse un deterrente per aprire gli occhi e guardarci dentro di ognuno e far fermare la bramosia di noi esseri umani incapaci di guardarci attorno, sempre intenti a pensare a noi stessi. Questa corsa sfrenata verso il progresso …. Questo correre, correre, senza fermarsi e guardarsi attorno, a tutto quello che succede in questo strano mondo!
E lì non mi sono più fermata!… Ho cominciato a buttare giù parole che sgorgavano come un fiume in piena e la penna scorreva da sola sul foglietto bianco …, finche non ho liberato la mente partorendo quello che segue, riscattando me stessa!.

“ED IO CORREVO”
Ed io correvo, correvo, correvo …,
avevo un unico obiettivo,
volevo arrivare lontano,
volevo arrivare per primo,
arrivare da solo!.
Dimostrare a tutti quanto ero bravo,
volevo distinguermi sentirmi grande;
non mi importava degli altri,
non mi importava di chi mi chiedeva una mano,
Io dovevo essere il primo, arrivare per primo,
essere l’unico, essere importante,
essere, essere e sempre solo essere!
E correvo, correvo, senza voltarmi indietro,
senza guardarmi attorno,
pensando solo ad avere successo …
pensando a me stesso!.
Poi un giorno una voce invisibile mi disse: “fermati!!!”
Ti devi fermare, sei andato troppo oltre
hai superato ogni limite del vivere sano!
hai strumentalizzato a tuo piacimento ogni cosa,
hai sconvolto il corso della natura,
hai incendiato foreste, sradicato alberi,
fomentato guerre, seminato stragi.
Non ti importa di chi soffre di chi ha fame,
dacché tu continui a correre per arrivare per primo,
per arrivare più in alto, arrivare da solo
e sentirti il padrone dell’universo!.
E allora ti dico che è arrivato il momento di fermarti!
e non lo farai da solo ma insieme agli altri!
Tornerai indietro e ti accorgerai degli altri
e scenderai da quel piedistallo
sulla quale ti ci sei issato!
Si finalmente ti accorgerai degli altri e
riscoprirai i veri valori della vita!
I valori umani!…
Scoprirai di non essere solo sulla terra!
Scoprirai che esiste la solidarietà…
L’amore per il prossimo…
L’altruismo… la modestia e l’umiltà!
È necessario che tu debba fermarti e riflettere!
E a porre un freno a tutte le tue ambiguità!.

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LETTERA A QUALCUNO (di Matilde Donatella Toniutti – AVO Genova)

Penso spesso di scrivere, raccontare a qualcuno, ma veramente solo con il pensiero; trovo che sia un buon motivo per trascorrere il tempo in questo silenzio che fa l’appello di assenze quotidiane.
L’ultimo giorno che qui ci siamo visti tutti insieme, dopo aver cantato, ci siamo salutati guardando con gioia la grossa pentolaccia colorata dondolante e invitante a farsi rompere, l’indomani e regalarci il suo bottino di dolci. Aspettavamo una festa con musica e risate, certi che animatori e volontari avevano preparato sorprese come al solito!
Al contrario il giorno dopo, come se una corrente d’aria avesse fatto sbattere una porta, all’improvviso la porta si è chiusa veramente, lasciando fuori, nuovamente per noi, quello che restava di quel mondo al quale già avevamo forzatamente voltato le spalle; e questa volta con più forti regole e limitazioni.
Fuori tutti: visi, voci, carezze, sorrisi, piccoli interstizi di vita quotidiana.
Tutto cambiato, stravolto, ora silenzio incertezza e solitudine dilagano ingigantite in ampiezza e profondità.
Brusio, voci sommesse come durante una funzione in chiesa.
Difficile, impossibile da capire ma, come al solito, solo accettare.
Andiamo avanti.
Ci hanno distanziato, gli operatori hanno le mascherine perciò non vediamo se ci stanno sorridendo, i volontari mancano e così ogni giorno si trascina, siamo come tante barchette che navigano sulla cresta di lunghe onde che se le passano da una all’altra spumeggiando e non vediamo l’approdo.
Dall’alto di quest’ ultima dimora vedo il mare, ogni giorno seguo il sole sorgere e tramontare o le nubi rincorrersi, sento il vento, i gabbiani o la pioggia che tamburella o scroscia. Un’ orchestra personale con partiture diverse e irripetibili. Quanto pensa che durerà? Dice qualcuno. Nessuno ha la risposta.
Idee, ipotesi, speranze.
Speranza di tornare a quella normalità in una realtà anomala di vita che, nonostante tutto, restituiva luce ai nostri volti composti, osservatori e malinconici.
Questa indomita speranza ci riporterà con la carezza delle onde finalmente a riva.
Qualcuno tornerà a farci sorridere, soprattutto l’AVO.
Ha ragione una volontaria che ha detto:”AVO vuol dire Amare Va Oltre”
In questo caso anche al Coronavirus!!!!!!!

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EMOZIONI E MEMORIE CONDIVISE CON UNA ZAMPA SUL CUORE (di Enrica Pocaterra – AVO Magenta)

Si è scritto e detto molto sull’influenza che il COVID-19 ha – e avrà – sulle nostre relazioni sociali, sul nostro vissuto psicologico, sulle nostre emozioni… io vorrei raccontare come l’esperienza del COVID-19 entrerà nelle nostre memorie.

Ricordo che il sabato mattina in cui tutti abbiamo saputo dell’istituzione delle prime zone rosse io ero in servizio Avo in corsia, all’Ospedale di Magenta. Proprio quella mattina, dall’azienda per cui lavoro mi hanno telefonato chiedendomi di iniziare a pensare a quali procedure avremmo potuto istituire già dal lunedì mattina successivo, per assicurarci che autotrasportatori, ditte esterne e visitatori non provenissero da aree interdette e venissero in contatto con i nostri dipendenti. Quella è stata la mia ultima volta in Ospedale: mi manca moltissimo il volontariato, che sembra congelato in un tempo sospeso e ormai lontano. Il ricordo più vivido dei tanti sabato mattina trascorsi in Ospedale è di alcuni mesi fa. Il reparto di nefrologia offre poche occasioni di socializzazione con i malati: spesso sono in dialisi, oppure assopiti o coinvolti in lunghe medicazioni e terapie. Un sabato mattina un paziente, che conoscevo da un precedente ricovero, dopo un paio di settimane in cui era sempre sopito ed assente, era sufficientemente sveglio per fare colazione, così mi ha chiesto di aiutarlo ad organizzare il suo vassoio di tè con i grissini. Mentre preparavo, inaspettatamente, mi ha detto di aver fatto un sogno ed ha iniziato il suo racconto. Sono rimasta ad ascoltarlo, ponendo brevi domande solo quando intuivo che le parole avrebbero potuto arrestarsi, non per chiedere o puntualizzare, ma per dare un segno tangibile dell’ascolto ed aiutare a non perdere il flusso delle parole. Ricordo bene i particolari del sogno raccontato e di come lo sviluppo si svolgesse a mano a mano, più per l’esigenza di essere raccontato che per il suo significato in sé. Ancor più ricordo la sensazione che non fosse importante ciò che veniva detto, ma che vi fosse un tempo dilatato per l’ascolto, senza urgenza, lasciandosi guidare dal presente. Per il tramite di quel sogno raccontato, il tè e i grissini sono ben presto scomparsi. Mi ha poi detto l’infermiera che era la prima volta che mangiava senza fatica da giorni: a me è rimasta l’emozione di quel sogno intrecciato nei pochi gesti di una colazione sul vassoio.

Ricordo l’incredulità con cui abbiamo seguito i primi bollettini medici: quella che avevamo considerato poco più di un’influenza si stava rivelando in tutta la sua gravità. Ricordo l’ultimo sabato prima del lock down in cui sono andata a fare la spesa: il piazzale del parcheggio con le persone che indossavano ormai tutte la mascherina, quando era faticoso trovarle né ancora consigliato indossarle, lontane una dall’altra, in uno spazio assurdamente dilatato. Ricordo la sensazione di estraneità che ho provato, come in un paesaggio alieno, che trasfigurava il mio simile solidale in un’asettica distanza da temere e rispettare. La mascherina, con l’abitudine del suo uso successivo, è invece stata il mezzo con cui abbiamo potuto ritrovare la misura di una sicura vicinanza.

Ricordo i colleghi che si sono ammalati, l’ansia delle tante interviste fatte per ricostruire i contatti ed evitare che in tutti dilagasse la paura. In azienda siamo riusciti a contenere i contagi ad un numero esiguo di casi, anticipando ogni misura di protezione: ricordo le mascherine distribuite per la prima volta nel turno notte e la prima misurazione della temperatura organizzata una domenica mattina, con la nostra presenza a turno, per restituire a tutti la fiducia. Ricordo i messaggi continui che abbiamo tenuto con i colleghi ricoverati, le parole con cui descrivevano il suono continuo delle sirene d’ambulanza e la terapia intensiva che riempiva i loro occhi di terrore. Ricordo la festa con cui li abbiamo accolti dopo la guarigione ed i racconti che tutti abbiamo più volte ascoltato, così che la pioggia delle parole accolte potesse far rimpicciolire la paura.

Ricordo la tristezza di non aver potuto vedere i miei figli per oltre un mese e mezzo e l’espediente di poterli salutare affacciati dal loro balcone durante la passeggiata serale con i nostri cani, che scodinzolavano stupiti guardando verso l’alto: come si può spiegare ad un cane la distanza? Ricordo che a fine maggio il nostro cane Giovanna si è aggravato, la piccola passeggiata per andare a trovare i nostri figli diventava per lei sempre più difficoltosa e in pochi giorni ci ha dolorosamente lasciato. Ognuno dei cani che abbiamo avuto è stato a suo modo unico e speciale. Giovanna lo è stata ancor di più, perché abbiamo potuto conoscerla quando era ormai molto adulta, presa dal canile quando aveva nove anni, ed ha trascorso una lunga vecchiaia insieme a noi. Ha introdotto nella nostra casa novità sorprendenti: sapeva, dalla sua vita precedente, dare la zampa, ma l’utilizzava come gesto di gratitudine, non di saluto, per festeggiare un bocconcino prelibato, una coccola speciale o l’aiuto a salire in auto. Spostava per la casa il suo cuscino, prendendolo con la bocca, per raggiungerci o sdraiarsi al sole del giardino. Ho avuto molti cani nella mia vita ed il momento del loro saluto è stato sempre un doloroso distacco. Che la loro vita sia così breve in rapporto alla nostra mi è sembrato per molti anni un inaccettabile destino. Ora preferisco pensare che sia un grande privilegio, perché ci consente di avere più di un cane al nostro fianco e sono grata a Giovanna di aver condiviso una parte del cammino della nostra vita.

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IO, LORO: UN NOI (di Claudia Faglioni – AVO Mirandola)

Ma chi ci pensava, ma chi si immaginava di non vederli per tanto tempo!
Cosa hanno fatto, cosa hanno pensato, cosa hanno sofferto chiusi tra due prigioni, quella pesante dell’isolamento e quella triste del loro corpo!
Quanti progetti avevo preparato, di musica, divertimento, lettura…e anche cultura!
Bene…li terrò tutti pronti perché tornerò.
Tornerò perché devo rivedere la Maria, “ch’l’è la più cativa”… per forza, non vince mai a tombola! Allora mi chiede, con aria cupa, di cambiarle le cartelle e, quando mi avvicino cauta e timorosa, lei mi fa un gran sorriso!
E come starà il nostro “sailor man”, marinaio per sempre, che al suono dell’inno nazionale con tanta fatica si mette in piedi sull’attenti!
E la Cesira che ”la pians sempar” …e “come faccio adesso”… e “portami a casa”. Allora mi avvicino e, severa, le dico “fammi un bel sorriso, altrimenti non parlo con te!”: lei tira la bocca come un gatto…poi riprende a piangere!
E i “capi”: la mia “Susanna tutta panna”, sorridente e allegra; il generale e la lady di ferro, a cui rispondo: ”Eccomi, pronta agli ordini!”.
Come stanno?
Ma c’è anche la principessa, che deve sentire il tuo contatto con la mano; c’è la Luisa, dolce come uno scoiattolo, ma ben consapevole di quello che vuole. E tanti altri che ti sorridono quando entri e si illuminano quando fai qualcosa per loro. Tutti ti guardano, non con gli occhi, ma con il cuore, e io mi sento una bambina: allora, come si fa con una nonna, mi viene voglia di toccare una mano, di accarezzare un viso, di sfiorare una spalla… non so se a loro fa piacere, ma a me si!!!!

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PAROLE, PENSIERI ED EMOZIONI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (di Giuliana Chiesa – AVO Mondovì)

Non ricordo quando i giornali cominciarono a scrivere e le TV a trasmettere la notizia che in una città cinese, Wuhan, era scoppiata una strana e deleteria epidemia di coronavirus. Ma ricordo, invece, e molto bene l’orrore che ho provato quando sul piccolo schermo tv è stato proiettato un reportage proveniente dalla Cina. Quattro persone vestite di bianco (sembravano astronauti)
stavano trascinando fuori da un appartamento, tenendola per le braccia e le gambe, una donna che urlava e si dimenava disperata. Spaventoso! Ma la Cina è lontana…Poi, un terribile giorno di
febbraio il bubbone scoppia anche da noi, in Italia, a Codogno, in Lombardia. E la notizia mi procura un fastidioso senso di inquietudine… Da quel momento in poi la situazione precipita. Le informazioni si accavallano le une sulle altre. In tutti i canali televisivi vengono trasmesse notizie e contro notizie, ordini e contrordini: mascherine sì, ma anche no; è un’epidemia grave: no, è poco più di un’influenza. E via elencando. Virologi, infettivologi, governatori e cariche istituzionali si alternano sul piccolo schermo. Ognuno dice la sua e spesso quello che veniva dichiarato ieri era smentito l’indomani generando in tutti noi confusione, disorientamento e ansia. E il martellante tam-tam televisivo non contribuiva certo a rasserenare gli animi. Nel frattempo, stante le catastrofiche notizie dei media, era partita la corsa delle persone ai supermercati per accaparrarsi quanti più generi alimentari, disinfettanti e prodotti di pulizia possibili. Sembravano invase da una furia irragionevole, protagoniste, a volte, di scene e reazioni scomposte per impossessarsi di questo o quel prodotto. Incredibile, ma vero. E che rabbia ho provato contro i media (pur riconoscendo loro il diritto all’informazione) quando una donnina dai capelli bianchi si è avvicinata a me (eravamo in un supermercato) e con un timido sorriso mi ha bisbigliato: ”Ho paura”… Intanto i voli da e per la Cina venivano chiusi e poiché si vociferava che avrebbero fermato anche i convogli ferroviari, la massa di studenti e lavoratori originari del Sud, nel timore di essere bloccata, si precipitava alle stazioni per tornare dalle proprie famiglie. Con l’amara sorpresa di essere contestati dai loro stessi corregionali che volevano rimandarli al Nord in quanto “untori”. A volte le tragedie fanno emergere la parte peggiore di noi. Ho in mente il ricordo di una signora di Ischia che inveiva contro turisti lombardi sbarcati sull’isola con un pullman. E anche la presa di posizione di alcuni governatori che vietavano l’accesso nella propria regione ai “monatti” del Nord. Sembrava che un vento di follia fosse soffiato sull’ Italia e sugli Italiani… Frattanto la situazione andava peggiorando in crescendo. Parte della Lombardia veniva dichiarata da Roma “zona rossa” che, tradotto, significa essere prigionieri non solo nelle proprie case, ma in interi paesi. Tutte le vie d’uscita dei centri venivano bloccate da poliziotti per impedire ai residenti di fuggire…Surreale! In seguito, l’ordine di confinamento veniva esteso a tutti gli Italiani (lockdown). Non si poteva più uscire dalle nostre dimore se non con un valido motivo autocertificato. Prigionieri in casa. Niente baci, niente abbracci, niente strette di mano. Gruppi di persone che cantano sui balconi, forse per farsi coraggio o forse per esorcizzare la paura. Droni controllano strade e piazze deserte alla ricerca di eventuali “evasori”; un militare rincorre un giovane che fugge lungo una spiaggia deserta. Sembrano scene di un thriller. Proibito ai nonni di incontrare i nipotini, proibito ai bimbi di giocare all’ aria aperta. Proibito frequentare gli amici, i parenti, gli affetti, proibite le manifestazioni pubbliche. Chiuse le aziende, le scuole, i teatri, le discoteche, i ristoranti e perfino le chiese. Grottesco l’intervento di poliziotti che intimano al sacerdote officiante di troncare la messa. Super quel parroco che non si lascia intimidire dalle divise e porta a termine il rito religioso. Tanti Italiani sono bloccati in diverse nazioni. Alle nostre navi da crociera viene impedito l’attracco all’ estero. Francia, Svizzera, Austria chiudono le frontiere agli Italiani. Siamo considerati gli “appestati “dall’Europa e dal mondo intero… E che dire dell’emergenza sanitaria? Migliaia di ricoverati, centinaia di morti non solo negli ospedali, ma anche nelle Case di riposo. Man mano che i giorni passano, i contagiati di Covid crescono a dismisura e gli operatori sanitari lavorano senza sosta. Mancano presidi sanitari, respiratori, camici di protezione, mascherine, letti. Si arriva addirittura a dover fare scelte spaventose. Come si fa a dimenticare la disperazione impotente dei famigliari ai quali viene impedito di dare un ultimo saluto ai loro cari ricoverati e del tormento degli stessi ai quali viene negato il conforto di avere vicino una persona amata. Gli ospedalizzati se ne vanno in solitudine consolati solo dal personale medico che si improvvisa sacerdote, marito, moglie fratello, sorella. Una tragedia nella tragedia. Lacerante il ricordo di quella lunga fila di camion militari che trasporta le vittime della pandemia alla cremazione preceduta dal suono della sirena di un’ auto della polizia stradale e salutata militarmente da altri poliziotti. Una delle pagine più drammatiche e toccanti della nostra storia. Fase uno, fase due. Si ritorna piano piano alla “normalità”, ma resta l’incognita di un futuro incerto e imprevedibile.

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INCREDULITA’ (di Monica Mastroianni – AVO Nocera-Pagani)

Cosa sta succedendo? Non posso credere che quello che mi circonda sia tutto reale!
No! Adesso pensiamo solo ai preparativi per il 25 febbraio, il Carnevale! La festa per i nostri piccoli Kinderini… ”Dai! Pensiamo a loro! Non preoccuparti!”. Queste sono le mie parole incoraggianti a mia figlia.
Molto presto però mi sono resa conto che la situazione era molto grave e che purtroppo per tutto quello che stava succedendo si dovevano interrompere tutti i contatti e isolarsi.
Così iniziano i momenti di totale confusione.
Siamo precisamente al 23 febbraio 2020 quando arrivano i primi comunicati da Sindaci e Presidi che ci fanno capire la vera gravità. Siamo totalmente in “EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA”!!!
Ogni Decreto emanato era un fiato sospeso. La prima cosa a cui ho pensato sono stati i miei cari, che ho cercato di rassicurare. Quanto autocontrollo in tutti noi per non farci travolgere dal panico.
L’intera umanità era sospesa ad un filo.
Persone anziane contagiate e sottratte ai loro cari senza nemmeno un saluto, neanche un aiuto spirituale… È straziante solo a pensarlo!
A questi fatti la mia memoria scivola nel passato, viaggia fra epidemie, lazzaretti, fatti letti su libri: ma ora i protagonisti siamo tutti noi!
Ospedali in tilt, reparti di terapia intensiva stracolmi di contagiati, tutti gli operatori ospedalieri stremati da turni massacranti e tante vite perse per salvarne altre.
I miei pensieri negativi erano occupati da ore e ore di videolezioni con i nostri Kinderini che rendevano le giornate piene di lavoro incessante.
In casa ognuno aveva la sua postazione stabilita, tranne i due cani liberi di circolare in ogni stanza; la primogenita si era trasferita da noi da quando avevano chiuso la circolazione fra i Comuni, mio marito saltuariamente lavorava, perché era addetto al trasporto dei rifiuti, ed io ero sempre occupata a non pensare, immersa nelle tante cose da fare.
Quanti di noi isolati e con figli o altri affetti in luoghi lontani…
L’altra mia figlia col compagno era lontana. Ho pregato in silenzio che non le accadesse niente e che vivessero questo momento con grande forza…
Ed è stato così!
Attraverso le videochiamate ci siamo sentiti uniti e questo è stato molto di conforto!
Io sono rimasta a casa, ma molti altri volontari hanno raccolto e distribuito alimenti per persone bisognose. La perdita di una cara volontaria in piena pandemia mi ha rattristata fortemente, ma allo stesso tempo il ricordo del suo sorriso mi ha incoraggiata a pensare positivo come lo faceva lei!
Era la metà di marzo quando un’altra volontaria a me tanto cara ha dovuto sottoporsi ad un intervento al cuore. Quando mi ha telefonato per informarmi che sarebbe stata operata a breve e per farmi gli auguri dell’imminente mio compleanno, l’ho ringraziata di cuore e con tanta forza le ho detto parole di totale conforto. Inutile dire quello che ho provato quando ho terminato la telefonata…Ho fatto una preghiera speciale e l’ho raccomandata al Signore: “Sono più di dieci anni che il volontariato ci unisce, so quanto amore e dedizione dedica ai malati; per me è quasi una mamma, è sempre stata di conforto e di sostegno nei miei riguardi. Ascoltami, Signore! Lei è sola e ha solo Te! Quanto sostegno ha dato agli altri e ora nel suo bisogno non può essere assistita da nessuno e neanche ricevere quel bicchiere d’acqua simbolo di tutti noi volontari”
Durante il suo ricovero non le ho mai telefonato per paura… Ma lo ha fatto lei: con una vocina fievole riusciva appena a pronunciare il mio nome e a dirmi che aveva tanto desiderio di sentirmi; le ho risposto che non doveva affaticarsi e doveva con tutte le sue forze superare anche questo momento incredibile, per poi poterci riabbracciare di nuovo.
Dopo un lungo periodo è rientrata a casa, anche se ha dovuto passare dei momenti di totale e drammatica solitudine perché era completamente isolata proprio quando aveva più bisogno di essere assistita e confortata.
L’anno scolastico stava terminando, i bambini oramai esausti per la didattica a distanza erano riusciti a imparare una nuova e importante lezione di vita: la pandemia aveva dato una mano alla rigenerazione della Natura e dimostrato che le regole vanno rispettate per vivere sani.
Finalmente vengo convocata per l’Assemblea AVO, un’emozione indescrivibile! Dopo tanti mesi rinchiusa era un piacere ritrovarsi. Era ora ed io ero pronta.
Arrivo davanti all’entrata del portone della Chiesa e, nel voltarmi per vedere se arrivava qualcuno, il mio cuore ha sussultato quando i miei occhi l’hanno vista arrivare col suo passo veloce.
Sì, era proprio lei, la piccola grande donnina che era tornata all’opera. Noi volontari dal colletto verde non finiamo mai di sperare ed io sono una dal colletto verde da molti anni, ma lei lo è da molto, molto più tempo di me!

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