Sabato 25 ottobre è stato assegnato il Premio Noi Insieme 2020, sul tema “Parole, Pensieri ed Emozioni al tempo del coronavirus”:

1° posto: “Il caso” di Marisa Cavalli – AVO BELLANO
2° posto: “Una sera sono venuti a prendermi” di M. Giovanna Domenichini – AVO LUCCA
3° posto: ”Negli occhi di Camilla” di M. Antonietta Puggioni – AVO SASSARI – “Il nuovo condominio” di Simona Bevione – AVO TORINO

Di seguito il racconto di M. Antonietta Puggioni.

NEGLI OCCHI DI CAMILLA (di M. Antonietta Puggioni)

Nel silenzio assoluto che regnava per le strade, i miei pensieri erano l’unica cosa che producesse il rumore di qualcosa di vivo. Intorno a me regnava il più profondo dei silenzi, rotto a volte solo dal suono di una sirena. Quale il suo destino, mi chiedevo, pensando a chi stava all’interno di quell’ambulanza? La domanda produceva ancora più rumore di una ipotetica risposta, cadendo nel vuoto. Eravamo di fronte a qualcosa di assolutamente sconosciuto e il caso era l’unica risposta e cura allo stesso tempo, mentre nelle corsie i camici bianchi e le tute (arrivate solo all’ultimo) combattevano contro un nemico invisibile e mortale.
Tutto, attorno a me, suggeriva di lasciar perdere, di stare lontani da quei posti divenuti da luoghi di cura a luoghi eletti dell’infezione mortale. Ciò nonostante, il cuore rimaneva sordo ai richiami della ragione e spingeva il mio cammino all’interno della struttura dove avrei incontrato coloro che ogni giorno lo nutrono con gli sguardi, con le parole, con le carezze che sfiorano la mano, ricambiando in maniera grandiosa quel poco che la mia umanità riesce a dare in cambio.
In fondo, pensandoci bene, il tutto si risolve in quelle semplici cose che vanno oltre la paura, lo sgomento, la ragione. Quelle stesse semplici cose che nutrono la nostra appartenenza al genere umano e ci fanno superare ostacoli, differenze, razza, religione. Quel sentimento di comunanza, quell’avvertire dentro le sensazioni dell’altro è forse quello che meglio esprime, caratterizzandolo, ciò che siamo e facciamo. Empatia, null’altro che empatia. Si può dare un nome a questo “sentire”? Si può catalogare, inventariare, classificare, quantificare la voglia di essere vicino a qualcuno? Si può definire questa miscela in formazione di sentimento e ragione con un termine?
Questo mi chiedevo, mentre stringevo quelle mani rugose. Mani che avevano stretto, abbracciato, scritto, costruito, fatto l’amore. Mani piene di storia, spesso una storia sconosciuta ma non per questo meno affascinante e meno degna di altre di essere conosciuta. Una storia che dovevo conoscere. Era forse questa la ragione che mi spingeva oltre la ragione? L’insieme dei pensieri continuavano ad affollare la mia mente senza soluzione di continuità.
Guardavo negli occhi Camilla mentre le tenevo le mani e forse non riuscivo molto bene a nascondere la mia agitazione: questo virus stava colpendo negli affetti più cari tantissime persone, in modo subdolo, spietato, senza concedere loro neppure l’ultimo saluto.
La mia preoccupazione doveva essere molto evidente. Camilla mi strinse le mani mentre i suoi occhi grandi, di un marrone scuro intenso, lucido, mi guardavano nelle profondità dell’anima. Fu solo un attimo ma, per la prima volta, mi sentii nuda, senza difese e bisognosa, io, di assistenza. La sua mano strinse la mia, avvolgendola di calore. Un calore intenso che si propagò in un attimo per ogni dove del mio essere. Un calore rassicurante e intenso, un calore di cui avevo bisogno. Rialzai gli occhi. Un tempo enorme era trascorso dal mio arrivo lì, da quando mi ero sistemata vicino a Camilla. Ricordavo tutto. I miei pensieri…. il virus… Guardai negli occhi Camilla e mi trasmise una sensazione immensa di serenità.

“Sei preoccupata per il virus? Hai visto quanti contagi?” – mi disse con un sorriso splendente che incorniciava quel volto antico ma non invecchiato.
“Hai paura? Pensi che non troveranno presto la cura? – mi incalzò ulteriormente.
“Si, Camilla. Ho paura che non riusciremo a vincerla presto questa battaglia, nonostante tutti gli sforzi, credo proprio che questa battaglia sarà lunga e con molte nostre sconfitte prima di vincere la guerra!” – risposi quasi di getto.
“Davvero pensi questo? Ma che dici? Ma non ti accorgi che il virus ha già perso e non può farci più male di quello in cui incapperà ancora qualcuno di noi… i più sfortunati?” – mi disse tutto con una luce intensa negli occhi, una luce che li faceva risplendere nella penombra.
Come puoi pensare una cosa del genere? Non hai sentito i notiziari? Non sai nulla di quel che accade? E’ già tanto che io possa ancora essere qui!” – dissi tutto di un fiato, senza neppure riflettere un attimo su qualcosa che mi pareva evidente.
“Non è così!” – rispose – “il virus ha già perso la sua battaglia e tu ne sei la dimostrazione! Non ti rendi conto?” – disse mostrando una serenità invidiabile. “Io, In che modo?” – chiesi. “La tua presenza qui è la vittoria sul virus! Non è riuscito a tenerci lontane! Hai paura come tutte le persone, perché sei umana! Ma, nonostante la tua paura, tu oggi sei venuta qui, incurante della tua condizione ma pienamente conscia della mia, che ti stavo aspettando! Il virus ha perso, non è riuscito ad allontanarci, nonostante ce la stia mettendo tutta. Ha solo i giorni contati, più o meno, ma non può vincere.” La guardai ancora, in quegli occhi sapienti e vi lessi quel che stavo pensando: “finché ci sarà un briciolo d’amore, nulla riuscirà a vincere l’essere umano, perché l’amore lo rende indomabile e perseverante oltre il proprio essere fisico.” Questa certezza così evidente e dimenticata mi rasserenò e abbandonai quel senso di angoscia e di oppressione che mi comprimeva l’animo.

La sera, mentre tornavo a casa, sorridevo pensando al fatto che tutto era così semplice, chiaro, lineare: siamo fatti solamente d’amore, per essere immortali.