A volte la mente umana ha un modo tutto suo per esorcizzare le emergenze, ti costringe tuo malgrado ad attingere ai ricordi del passato per far emergere quegli eventi vissuti precedentemente portandoti in alto, molto in alto, per poi farti planare dolcemente attraverso un paracadute virtuale.

L’emergenza del coronavirus ha fatto emergere dai meandri della mia mente la prima riunione in sede con le responsabili di reparto, mi sembrava che fosse passata un’eternità da allora, ma era soltanto il 24 gennaio 2020.

Eravamo partiti con grande entusiasmo, con quella voglia di fare e quella grinta trasmessaci dal Life Coach Manager durante il corso che avevamo fatto a dicembre 2019.

Il nostro Coach, ci aveva dato le coordinate giuste per mettere in atto quanto appreso durante il corso, su come relazionarci al meglio con i volontari, come sviluppare il loro senso di appartenenza e rafforzare lo spirito di gruppo che negli ultimi tempi ci sembrava un poco appannato.

Eravamo partiti a 100 all’ora… niente sembrava fermarci… ci ha pensato il coronavirus.

I mesi trascorsi in casa, sono stati lunghi ed estenuanti, il nostro pensiero era rivolto sempre verso gli ammalati, non eravamo accanto a loro, e non eravamo al fianco dei nostri operatori sanitari, che sapevamo in prima linea, e li immaginavamo alle prese con il virus per cercare di arginare i suoi effetti devastanti.

Abbiamo risposto con entusiasmo alle varie richieste pervenuteci dai medici e    caposala, grati che si fossero rivolti a noi, pronti a dare una mano.

Finalmente la richiesta tanto attesa da parte della Direzione Sanitaria è arrivata, ci è stato chiesto se potevamo tornare in servizio, al momento solo al Front Office, e poi successivamente al CUP.

Al Front Office, come al Cup, il nostro compito è quello “dell’accoglienza”, andare incontro all’utenza, far rispettare il distanziamento sociale, accertarsi sull’uso corretto della mascherina, dare informazioni, gestire le eventuali problematiche, indirizzare le persone accompagnandole verso gli ambulatori, tutto questo va fatto per evitare che si possano sentire disorientati, il volontario Avo è un portatore di pace e deve essere per l’utenza  il loro punto di riferimento, in modo da evitare così stress e nervosismo.

Il primo giorno di servizio è stato molto emozionante, ci cercavamo con gli occhi, ecco Annamaria, Nando, Luciano, Pasquale, il Dr.X, il Dr.Y, … tutti presenti.

E’ stato bello rivederci, vedere i loro occhi al di sopra della mascherina con quella piega in più che prima non c’era, quella luce diversa che ti fa capire la sofferenza e l’incredulità di chi ha attraversato un uragano e non crede ancora di avercela fatta.

L’emozione piu’ grande mi è arrivata dai loro racconti, sentire le loro voci parlare dei momenti bui dove nulla è scontato e tutto è precario,  una voce  a tratti incrinata, ma nel contempo forte e squillante, i colleghi vittime del coronavirus, la gioia degli ammalati guariti, la tristezza di chi non è riuscito a vincere il virus… mi sono sentita in colpa ripetevo a tutti non è stata colpa mia, è stato il covid-19, avrei voluto essere accanto agli ammalati e al vostro fianco, in questa emergenza, avrei voluto condividere con voi come ho fatto negli ultimi 15 anni, le preoccupazioni, gli sforzi, la tenacia e l’impegno di una giornata al Pronto Soccorso..…..ma sono stati grandi i miei amici medici, infermieri, barellieri,  sono entrati nell’occhio dell’uragano, ma ne sono usciti con quella forza che solo chi ama e rispetta la vita umana può avere.

Ora siamo nella fase2, a momenti nella fase3, ma la nostra vita è cambiata, chi più e chi meno, ha subito gli effetti del covid-19, invoco e auspico la tanto agognata “normalità”, dove tutti noi, cercheremo di ritornare ad essere quelli di prima, è il momento di rimetterci in gioco, con quella ruga in più che ci attraversa la fronte, ma siamo stati “grandi” anche noi, …ce l’abbiamo fatta.

Antonietta Rispoli Presidente Avo Caserta