Premio Noi Insieme 2020 – I racconti di: Bergamo, Carate Brianza, Castiglion Fiorentino, Cittadella, Corigliano Calabro, Cosenza e Cuneo
Sabato 25 ottobre è stato assegnato il Premio Noi Insieme 2020, sul tema “Parole, Pensieri ed Emozioni al tempo del coronavirus”:
1° posto: “Il caso” di Marisa Cavalli – AVO BELLANO
2° posto: “Una sera sono venuti a prendermi” di M. Giovanna Domenichini – AVO LUCCA
3° posto: ”Negli occhi di Camilla” di M. Antonietta Puggioni – AVO SASSARI – “Il nuovo condominio” di Simona Bevione – AVO TORINO
I racconti vincitori sono stati pubblicati nei giorni scorsi. Vi proponiamo tutti i racconti che non si sono classificati nei primi tre posti, cominciando da Bergamo, Carate Brianza, Castiglion Fiorentino, Cittadella, Corigliano Calabro, Cosenza e Cuneo.
PROFUMO E SAPORE DI VOLONTARIO (di Margherita Ianniello – AVO Bergamo)
Presenza leggera, presenza terza, presenza: è il volontario, uno che c’è, non uno che fa.
Non è un parente, coinvolto emotivamente, non è un medico, impegnato professionalmente.
Non cura ma si prende cura, crea legami e relazioni, ascolta. Ascolta uomini prima che pazienti e malati.
Il volontario è un essere umano, non un eroe.
Si crea un’atmosfera magica intorno a lui. Vibra qualcosa. Passano emozioni tra parole e silenzi. Talvolta a parlare sono gli occhi, i sorrisi, i gesti. Sono gesti espressivi, mai casuali.
Il tempo per lui scorre in modo strano, pare impazzito: gli attimi sembrano lunghissimi e le ore passano veloci, perché lì quel che conta è essere uomini, perché lì si è uomini, perché lì passa l’umanità vera, senza filtri.
È una meraviglia quello che accade: si incontrano esseri umani, che diventano trasparenti e intimi, anche se in alcuni casi si vedono per la prima volta e, forse, non si vedranno più.
All’improvviso tutto questo si ferma.
Qualcosa di inaspettato, inimmaginabile e imprevedibile come un uragano che si abbatte improvviso, lo impedisce.
Il volontario si trova chiuso tra le mura di casa, come tutti … lui, abituato ad aprirsi e ad aprire, ad uscire verso gli altri, dandosi una direzione, dando un senso ai suoi movimenti.
Il pensiero corre al reparto, all’ultimo incontro, a cosa starà capitando in sua assenza.
Pensare a distanza in qualche modo permette di mantenere un rapporto di vicinanza.
Il volontario riflette.
Il suo è un habitus, un modo di essere, non di fare. È un habitus che indossa ovunque, non un camice, che mette solo dentro l’ospedale. È uno stile, una disposizione d’animo.
Essere volontario significa essere attento all’altro, dedicare tempo all’altro, voler bene all’altro, incontrare bisogni ma anche essere attento a sé, dedicare qualcosa a sé, volersi bene, accettare aiuti e forse cercarli.
Significa entrare in empatia e insieme saper tenere le distanze, non lasciarsi travolgere da ciò che capita.
Significa regalare qualcosa di sé agli altri senza impoverirsi e prendere qualcosa dagli altri senza impoverirli.
Significa essere entusiasti della vita e trasmettere entusiasmo, stupirsi e trasmettere stupore.
La pandemia ha sottratto la presenza, gli incontri, i luoghi ma non ha fermato tutto questo, non ha cancellato lo spirito del volontario.
Pensare al papà solo che ha bisogno di una chiamata, sentirlo e ridere con lui …
Pensare all’amica lontana che si sente in crisi, chiamarla e farle coraggio …
Pensare all’amico che è rimasto senza lavoro e senza soldi e dargli una mano …
Offrire conforto al vicino di casa che si è ammalato o a chi ha perso un parente e vissuto un trauma …
Ascoltare storie da un balcone …
Scambiare lettere piene di amore e di riflessioni sulla vita …
Condividere pensieri sul valore della famiglia, del tempo, degli affetti …
Non è anche questo essere volontario? È fare spazio alla gratuità, servire la vita in ciò che accade.
Il volontario capisce di non essere indispensabile in questo momento, di non essere onnipotente, di non poter risolvere cose più grandi di lui.
Vive un periodo di sospensione, tra incertezza e speranza.
Si educa all’umiltà, alla distanza, alla pazienza, senza perdere la calma.
Impara a non dare nulla per scontato, neanche i più piccoli gesti.
Sa di doversi muovere in punta di piedi, sa che è bene tirarsi indietro, rallentare il passo, è capace di non invadere spazi non suoi.
Resta disponibile per quando e se sarà possibile.
Il suo animo è ancora aperto alla vita, alle passioni, alle emozioni forti e profonde, al sublime, alla bellezza.
Non ha rabbia, non si sente escluso né inutile.
Va bene così. In questo momento è così.
Il tesoro del volontario non si perde: è ben custodito.
La sensibilità, il sorriso, la disponibilità danno i loro frutti comunque.
Il volontario fa esperienza di sé nella quotidianità, coltiva e trasmette la gratitudine per la vita, non spreca il patrimonio di amore che ha in sé.
Ora i volontari sono sparsi tra gli uomini. Torneranno in reparto più ricchi e più belli.
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COVID: Comunque
Ogni volontario AVO
Vuole tornare
Insieme ai suoi compagni a
Dare tempo ed attenzione a pazienti e anziani
(di Luisella Orio – AVO Carate Brianza)
24 febbraio 2020: data significativa. Quel giorno. Sono accaduti due eventi. Uno molto importante per me, perché cadeva la data per il festeggiamento del compleanno dei due miei nipotini, arrivati al traguardo dei cinque anni. La sera, come ogni domenica, avrei dovuto prestare servizio di volontariato ma avevo comunicato che non avrei potuto essere presente per il motivo suddetto. Ma fu anche la fine del servizio AVO in ospedale non solo per me ma anche per tutti i miei compagni di cammino. Alla nostra grande famiglia era bloccato l’ingresso nei reparti dell’ospedale a causa della pandemia da Covid 19. Iniziava anche la chiusura in casa degli anziani considerati fragili e quindi a rischio, categoria di cui faccio parte. In questo periodo di “clausura”, costretta in casa, ho avuto più tempo da dedicare a occupazioni, a cui precedentemente avevo dato meno spazio: ricamo, lavoro a maglia, lettura,… Tra le tante attività, una mattina mi è capitato di ascoltare una poesia, che ho subito collegata al nostro servizio. Condivido ciò che mi ha fatto venire in mente.
Presta attenzione.
Anche noi prestiamo attenzione: è una delle nostre finalità, una delle nostre priorità.
Ogni malato è importante per noi e ad ognuno noi dedichiamo il nostro tempo e la nostra attenzione.
Stupisciti.
Anche noi ci stupiamo, ci meravigliamo per le storie che i pazienti ci raccontano, intrise di gioie, di dolori, di fatiche, di ricordi piacevoli e sgradevoli e per la forza e il coraggio con cui affrontano la malattia, soprattutto se è grave.
Parlane.
Parlare: certo la discrezione è una delle nostre caratteristiche, nulla deve uscire dalla nostra bocca, nessuna delle confidenze raccolte deve trapelare. Ma facciamo tesoro di ogni parola e possiamo parlare di ciò che abbiamo captato e capito dai loro racconti, dalle loro testimonianze e possiamo condividere le ricchezze apprese.
Mille pensieri affollavano la mia mente in quelle lunghe giornate. Ero decisamente privilegiata rispetto ad altre persone: non ero sola, con me c’era mio marito, anche lui volontario AVO da molti più anni di me, con cui potevo condividere le ore del giorno; i miei figli, sempre presenti con le dovute precauzioni, dato che lavoravano, che si preoccupavano di noi, delle nostre necessità e i nostri cinque nipoti che ci tenevano compagnia con le videochiamate, assegnandoci anche dei compiti: preparare dolci per loro, realizzare lavoretti… La mancanza della vicinanza, dei baci, degli abbracci si sentiva inevitabilmente. Telefonicamente si mantenevano i rapporti coi parenti, gli amici, i volontari. Davo ancora più valore, causa privazione, a quanto prima era scontato. La relazione è alla base dei rapporti umani ed allora il mio pensiero correva ai malati, ai ricoverati soli, senza la compagnia dei parenti, senza la presenza dei volontari con cui scambiare qualche parola, senza il conforto di una stretta di mano, di un buffetto, di un incoraggiamento per combattere la malattia.
Mi sono tornate in mente la parole di un giovane volontario: asseriva che ognuno deve fare i conti personalmente con la malattia ed è vero, ma non essere solo ed avere accanto persone che ti vogliono bene e ti dedicano attenzione aiuta certamente ad affrontare il momento della sofferenza. Per chi crede inoltre c’è sempre la presenza di Dio. Come mi mancava essere nei reparti e ascoltare, dialogare e ritornare a casa più ricca di prima, portando con me anche qualche grazie, ma quel grazie era mio per quanto mi era stato dato. E la mente correva alle nonnine anche loro rinchiuse nella RSA, accudite sicuramente con cura ed amore dal personale, senza però la visita dei loro cari, senza le chiacchiere e i momenti di svago in compagnia delle animatrici e delle volontarie. E questa solitudine, che attanagliava sicuramente malati e anziani, prendeva anche me quando quotidianamente si ascoltavano i bollettini dei positivi, dei malati, dei ricoverati in terapia intensiva, dei morti e si vedevano le immagini. E il pensiero correva anche ai medici, agli infermieri e a tutte le persone che quotidianamente lavoravano per garantire lo scorrere della vita. E mi colpivano le immagini dei canti ai balconi, di tutte quelle iniziative che cercavano di infondere coraggio, dei disegni dei bambini, delle scritte “Andrà tutto bene”, realizzate anche dai miei cinque nipoti. Ma, se capivo la necessità di dare speranza, soprattutto ai più piccoli, ai giovani, mi rendevo conto che la scritta non valeva per tutti: non valeva per chi aveva perso la vita, per chi aveva perso uno o più cari, per chi non lavorava e doveva chiedere aiuto ai familiari, alla Caritas….
E, ascoltando le molte riflessioni sul tema COVID 19, mi sono rimaste impresse queste due espressioni:
– non io sono, ma io siamo –
– non chi sono, ma per chi sono –
Pur essendo state pensate per il difficile momento che stavamo vivendo, anche le ho ricondotte ad AVO, perché
– io sono, ma inserita in una grande famiglia, per cui io siamo cioè insieme abbiamo gli stessi obiettivi da perseguire;
– chi sono: è importante sapere tanto di noi, cogliere le competenze, le capacità, i limiti, ecc., ma altrettanto importante è sapere per chi sono e uno degli aspetti che riguarda il mio per chi è esserci è per l’altro, soprattutto per chi soffre.
Noi come AVO Carate ci siamo stati per il personale sanitario dotandolo di alcuni presidi utili a difendersi dal contagio grazie a una raccolta fondi tra noi ed i nostri amici. E, per uscire presto da questa pandemia, ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte responsabilmente. A questo proposito mi torna in mente una favola brasiliana, che parla di un incendio in una foresta. Tutti gli animali, tra cui un colibrì, si danno da fare per spegnerlo. Il leone, vedendolo, gli domanda come possa spegnare il fuoco con le poche gocce d’acqua che porta e lui risponde: “Sto solo facendo la mia parte”. Quindi tutti siamo chiamati a rispettare le regole dateci, tra cui quella che fa più male al cuore cioè non poter prestare servizio ma possiamo esserci con il pensiero e la preghiera, perché tutti possano trovare coraggio e speranza e mi auguro che tutti viviamo bene ogni momento anche se mancano molte cose, cercando di scoprire la bellezza dei piccoli gesti, delle parole semplici, delle attenzioni di chi ci sta vicino. Questi mesi di stop mi hanno permesso di ripensare al valore del silenzio, al valore della lentezza, luoghi della riflessività. Vivamente io spero di poter tornare presto a stare con i pazienti e le nonnine, consapevole del mio ruolo come volontaria AVO, desiderosa dell’incontrare l’altro. La passione e la rinnovata motivazione costituiscono le mie “ali” per riprendere il volo. Spero anche che le Istituzioni abbiano compreso il valore del mondo del volontariato, visto l’impegno profuso da molti volontari in questo particolare periodo nel prendersi cura degli altri.
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NEL VORTICE DELL’URAGANO (di Lidia Busatti Papini – AVO Castiglion Fiorentino)
E’ un giorno come tanti, solo più triste. E’ il tuo compleanno mancato e tu non sei qui per festeggiare, insieme, i tuoi 81 anni; te ne sei andato nove anni fa. Non è possibile dimenticarti e soprattutto non è facile cambiare rotta a una certa età. Dopo una grande perdita, se non si trova la forza di reagire, si viene risucchiati nel vortice della depressione e della paura di vivere. Ma la vita è un dono, me lo hai insegnato tu.
Nel ricercare il filo della mia vita, ho trovato “loro”, i miei “nonnini”, gli ospiti della Casa di Riposo del mio paese ed ho ricominciato, piano piano, a volare; quando sono con loro mi sento più serena, viva, capace ancora di donare.
Sta per arrivare la primavera, la sento sulla mia pelle come una carezza, come un abbraccio e mi sento viva, dopo questo lutto mai elaborato del tutto e dopo due mesi in un letto di ospedale con una gamba fratturata e tante complicazioni.
Mi siedo un attimo a sorseggiare un caffè davanti al televisore acceso e, fra un documentario e un film rivisto cento volte…una notizia inquietante: in Italia è arrivato il virus! Solo più tardi gli abbiamo dato un nome.
I ricordi dei primi giorni sono confusi ma una cosa abbiamo capito subito tutti: la situazione stava evolvendosi verso qualcosa di terribile, misterioso, imprevedibile. Dal paziente 1 siamo passati in pochi giorni a 100, a 1000, in un crescendo di notizie, veri bollettini di guerra.
Non voglio parlare di questo ma piuttosto delle sensazioni ed emozioni suscitate da questo tsunami.
Apro il telefonino e il messaggio di speranza di una cara amica addolcisce la mia tristezza. E’ un buongiorno tenero, pieno di affetto e di fede, è il messaggio di una volontaria come me, che non mi ha mai lasciato sola.
Ma dove è finita la libertà, amica cara, dove trovare il cuore per sopravvivere a questo sfacelo? Mi guardo intorno, il nostro mondo è cambiato, ovunque immagini di città vuote, di lunghi convogli in fila, grigi come il cielo che piange i suoi figli. Vicino a ogni letto, un angelo veglia il respiro affannoso di chi chiude gli occhi sulla solitudine dell’ultimo respiro.
Grazie, mio Dio, è la fede che ci salverà, l’amore di chi, dimenticando tutto, si chiude in una tuta bianca e con la mascherina incollata sul viso, come un sudario, va tra le piaghe infette di questo “microcosmo malefico” a portare salvezza o solo un sorriso strappato al dolore che appesantisce il cuore.
Guardo con affetto la tua risposta, amica cara, dove mi dici che questa è la mia filosofia di vita, il mio appiglio per continuare a vivere. E’ vero! Ringrazio Dio e sono grata a te e a tutti quelli che mi vogliono bene; siete stati la mia forza. Non si può vivere sempre felici ma bisogna essere sempre felici di vivere.
Sta arrivando la notte con i suoi silenzi e le emozioni della giornata, lontani echi di una guerra senza frontiere. Ma il ricordo di un arcobaleno disegnato da un bambino, la musica dai balconi, i messaggi trasmessi nelle canzoni e nei video sono il filo conduttore verso la speranza.
Durante i mesi del lockdown, relegati nello spazio stretto delle mura domestiche, abbiamo capito quanto vale un abbraccio, un bacio, una stretta di mano, perché la vita è un mistero da vivere e non un problema da risolvere.
Siamo coscienti che potremmo perdere tutto quello che abbiamo: affetti, le cose che ci rendono felici, la stessa vita ma abbiamo anche capito che quello che abbiamo nel cuore non lo perderemo mai e sarà l’input per ricominciare.
Credo che tutto questo ci ha dato la dimensione della nostra pochezza, dei nostri limiti e ci ha costretto a guardarci dentro per ritrovare la scintilla che muove il mondo.. l’amore.
Abbiamo comunque fatto la nostra parte di cittadini, rispettosi delle regole, del nostro prossimo e di noi stessi. Ci è mancata solo la operatività sul campo, il nostro essere “volontari”, mai il nostro senso di appartenenza. Quanta voglia di fare, quanto affetto da donare! Penso con nostalgia ai miei cari “vecchietti” che aspettano i nostri sorrisi, le nostre carezze, i nostri abbracci.
Ora posso solo immaginarli lì, seduti sulle loro poltroncine rosse addossate alla parete e dietro, il muro bianco con tante immagini colorate, fotografie che immortalano momenti salienti, i compleanni, le feste e le uscite insieme in allegria. Loro, spesso ad occhi chiusi, non vedono più se non il passato, che scorre come un nastro nell’atmosfera di quel presente che è diventato solo sopravvivenza. Sento le loro voci “quando tornate?”. Certo amici cari, torneremo presto, è una gioia venire a trovarvi, ci fa sentire utili ma soprattutto fa bene alle nostre anime, al nostro desiderio di pacificazione con il mistero della vecchiaia che incombe, del dolore e della morte.
Dobbiamo aspettare che finisca questo male oscuro, per sentire sulla pelle l’angoscia che scivola via, rotola come gocce di pioggia sui vetri. Ne stiamo uscendo con le ossa rotte, un prezzo troppo alto di vite umane e altre segnate per sempre. Niente sarà come prima, quello che abbiamo respirato ci ha comunque resi diversi, ci ha insegnato la solidarietà, lo spirito di rispetto, di servizio, di amore. Torneremo a sorridere, torneremo a vivere sull’esempio di chi ci ha mostrato le immagini e gli esempi di una Italia migliore che, nonostante tutto, ce la può fare.
Prenderemo in prestito le tue parole, amica mia, possiamo dare un senso alla vita solo se allentiamo i nostri egoismi, allarghiamo il nostro orticello e focalizziamo lo sguardo sulle cose che contano veramente. Spesso per inseguirne troppe abbiamo perso quelle essenziali e solo quando si perdono ci rendiamo conto di quanto avremmo potuto essere felici.
“Non è mai troppo tardi”, torneremo a gioire, ad apprezzare la vita, a sorridere con il sole nel cuore. Torneremo … del resto “domani è un altro giorno”.
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TEMPO SOSPESO (di Maristella Costa – AVO Cittadella)
Tempo sospeso
Dalle mille incombenze di ogni giorno
Tempo sospeso
Per il troppo andare
Per il movimento veloce
Tempo sospeso
Tutti si fermano
Attendono
Imprecano
Sperano
Invocano
Tempo sospeso
E nella sospensione ritrova se stesso
Primavera 2020, sono chiusa in casa sbigottita, spaventata, fuori c’è il lupo cattivo. Un lupo affamato, invisibile a occhio nudo, prende le sue vittime a tradimento e sbrana i loro polmoni. Meglio rimanere in casa. E tutto il mio correre?
Sembrava impossibile vivere senza tutti gli impegni quotidiani. Il lavoro? Dovere. I figli? Portarli a scuola, poi a nuoto, a danza, a calcio… L’aperitivo con le amiche? Indispensabile. Il marito? Vabbè ci organizzavamo: lui i suoi impegni, io i miei e con i figli metà per ciascuno. Ora sono chiusa in casa, smarrita in questi spazi vissuti di fretta che quasi non riconosco più, troppo stretti per vivere tutti insieme le lunghe ore del giorno. Intanto la temperatura fuori è diventata mite, gli alberi in fiore seguono il loro corso di rinascita ignari di questa angosciosa paura che mi corrode l’anima.
Devo per forza fare le spesa, una grande scorta, in casa non ci sono che poche scatolette e la pizzeria è proibita, proibito anche il ristorante. La mamma mi aveva avvertito nelle sue prediche educative, devi essere brava diceva, forte, efficiente, perfetta! Ma non le avevo dato retta. Son finiti quei tempi pensavo, ora siamo moderne, emancipate, donne in carriera. Ed ecco l’imprevisto che non ti aspetti, la dispensa quasi vuota, non posso uscire, non riesco a cucinare un pasto decente… E’ tutta colpa mia, dovevo ascoltare la mamma. Tutto questo disastro sarà un castigo divino?
Andrà tutto bene dicono. In giro ci sono arcobaleni colorati attaccati ai vetri e alle terrazze con grandi scritte: Andrà Tutto Bene. Note musicali escono dai balconi in punta di piedi, come eleganti e armoniose ballerine piroettano nell’aria formando piacevoli sonorità.
La casa ora è perfetta, le tende lavate, i pavimenti lucidi, gli armadi sistemati profumano di lavanda, la cucina sa di buono, di dolce. Fare i dolci è un’arte. Un dolce contiene coccole, nutrimento, calore, positività, speranza, un equilibrio di ingredienti dal sapore incrollabile. Sto diventando un’ottima casalinga, molto più brava che con lo smartworking, o no? Sono riuscita anche a fare la spesa, ho comprato di tutto non solo cibo. Buttavo la merce nel carrello del supermercato con un’ansia da fine del mondo, la Bestia feroce è ancora là fuori, non molla la presa e l’incertezza del futuro mi scombina la razionalità.
Improvvisamente una folata di vento entra in casa e come un bambino pasticcione butta per aria tutte le carte sopra il tavolo.
Un colpo di tosse. Devo uscire. La primavera avanza e desidero una passeggiata. Ho bisogno di sole, di aria, di respirare libera senza mascherina tanto non succederà nulla. Andrà tutto bene. Per strada si avvicina una bambina, indossa una bella mantellina rossa. Mi sta parlando ma non sento bene. Cosa?
<<Che orecchie grandi che hai!>> Sussurra.
<<Per sentirti meglio>> Rispondo.
<<Che occhi grandi che hai!>>
<<Per vederti meglio>>
<<Che bocca grande che hai!>>
<<Per … etciùùù!>>
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SO CHE RITORNERO’ (di Maria Pina Rumanò – AVO Corigliano Calabro)
So che ritornerò….e so che non potrò fare a meno della meravigliosa sensazione che proverò nell’essere di nuovo lì…a quelle emozioni…a quei frammenti di vita….una sensazione che mi resterà attaccata addosso e che non mi abbandonerà facilmente.
La stessa sensazione che provai quando salii trepidamente le scale che mi avrebbero portato al 5° piano…i miei passi lungo il corridoio…la sala convegni era già gremita di volontari che partecipavano al corso…era il mio primo giorno….un giorno che non avrei più dimenticato….
Da quel giorno la mia vita cambiò….tutto aveva superato le mie aspettative! Non sapevo che quella esperienza mi avrebbe trasformato in una persona completamente nuova e che mi avrebbe dato una nuova visione della vita.
Ho imparato così tanto attraverso le corsie in Ospedale…ho incontrato lo sconforto, la paura, il bagliore della speranza negli occhi dei malati….
Ho incontrato, non per forza, lacrime e dolore: ho ascoltato spaccati di vita quotidiana, progetti, sogni, ricordi, rimpianti… Una sensazione” speciale” che mi coinvolgeva completamente….che coinvolgeva la mia mente ma anche lo spirito….mettendo in discussione la mia prospettiva sulla vita….
Chi avrebbe mai immaginato che quel giorno sarei diventata una nuova me….una volontaria dentro….quasi senza rendermene conto. Ritornerò ancora…..lo so….e continuerò ancora a non poterne fare a meno…
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“ESSERE” VOLONTARIA IN TEMPO DI COVID (di Grazia Ciappetta – AVO Cosenza)
“Dal 9 marzo l’Italia è Zona Rossa”.
Sono queste le parole che sento pronunciare in TV e mi si gela il sangue!
Comincia così la piena emergenza e d’ora in poi tutto si fermerà, scuole, università, uffici e tutto ciò che fino ad ora ha fatto parte del nostro vivere quotidiano.
Sento attraversarmi un brivido lungo la schiena: siamo in guerra e d’ora in poi combattiamo un nemico invisibile, “il Covid19”!
D’istinto faccio il numero di Annamary, mia compagna di turno in Chirurgia Pediatrica, perché sento la necessità di parlare con lei di ciò che ho appena appreso. Mi risponde ma con un tono impaurito, preoccupato, ed è la prima volta che la sento con questa inflessione che non le appartiene: mi ha abituata a scherzare con lei, a ridere, mentre ora ad entrambe trema la voce, quasi a trattenere le lacrime in gola e mi confessa che ha paura di questo cambiamento perché pensa alla privazione degli abbracci a cui eravamo abituate. Ci facciamo una promessa, proprio nel giorno in cui viene dichiarato lo stato di emergenza: quella di non crollare e di farci forza attraverso i ricordi del passato, un passato fatto di gesti d’amore e di aiuto verso il prossimo… d’altronde siamo Volontari.
Il nostro pensiero va agli amici “gnomi” del reparto: non possiamo più andare lì a condividere sorrisi, scherzi e giochi, che molte volte ci sono sembrati un po’ demenziali, ma che proprio per questo fanno ridere tanto i nostri piccoli amici.
E’ il 14 marzo quando riceviamo un messaggio WhatsApp dalla Presidente della nostra associazione AVO Cosenza: l’Ospedale dell’Annunziata ha bisogno di volontari in questa emergenza pandemica!
Non esito un istante a dir di sì e, mentre rispondo sul gruppo, ricevo una telefonata da Annamary che, con voce triste, mi informa che lei, suo malgrado, non può aderire perché in famiglia vive una zia con patologia invalidante e che sarebbe troppo rischioso esporsi in un luogo dove le probabilità di contagio sono molto alte.
Non mi ha fatto mancare il suo incoraggiamento e, nel momento in cui mi ha detto: “vai e fallo anche per me!”, proprio in quest’istante, mi sono sentita pervadere da una grande carica, come se fossi una leonessa pronta ad affrontare qualsiasi paura: non ero sola!
In ospedale si vivono giorni con un up and down di emozioni, tutto sembra surreale e tutti gli operatori sono pervasi da uno stesso sentimento: quello della fratellanza.
E’ un continuo incrociarsi di sguardi e si sentono solo voci ovattate dalle mascherine:
– sono loro i parenti che riescono a comunicare con i pazienti dei reparti blindati, attraverso i pacchetti di biancheria pulita, dove il profumo mi fa capire che è un loro modo per farli sentire a casa;
– sono loro, i ricoverati, gli eroi del momento: combattono su un doppio fronte, contro le loro patologie che li rendono più fragili al contagio del virus subdolo e insidioso e contro la privazione di ogni conforto familiare.
Tocca a noi quindi escogitare qualcosa e trovare il modo per farli incontrare con i loro cari.
“Non si può fisicamente?” Facciamoci aiutare dalla tecnologia, servono due smartphone e il gioco è fatto!
Provo tenerezza nello spiegare ad una arzilla nonnina come si fa una video chiamata, sinceramente non so se abbia mai capito, ma ho cercato di aiutarla mettendo a disposizione il mio smartphone collegato a quello di un infermiere in reparto.
E’ emozionante osservare la sua faccia trepidante mentre appare sullo schermo il viso del suo caro marito. Ho visto nei suoi occhi i cuoricini dell’amore puro, quello autentico di chi trascorre una vita insieme, e mi emoziona tanto nel vederli mandarsi i bacetti attraverso lo schermo del telefonino: è qui che mi è venuto spontaneo fargli un applauso!
Mi sembra di essere in un programma televisivo ma questa volta non c’è copione, esiste solo l’amore di una coppia di anziani che si trasformano in adolescenti al loro primo appuntamento.
Tra un turno e l’altro aggiorno telefonicamente Annamary che, anche se non fisicamente, ha condiviso appieno tutta questa esperienza che ci segnerà per tutta la vita e gli racconto della felicità di un neo papà che quel giorno non mi porta il solito pacco di biancheria pulita ma qualcosa di ancora più prezioso: una borsa termica contenente il latte per il suo bambino! Mi dice:” Sono così felice che niente e nessuno potrà abbassare il mio stato vitale, neanche il nemico invisibile!”, e mentre lo guardo penso che questo sia un segno della vita che vince su uno scenario di morte.
Mi accorgo di non sentire più la voce di Annamary dall’altro capo del telefono e penso sia caduta la linea: e invece no, lei era corsa a prendere qualcosa per asciugarsi le lacrime, questa volta non impregnate di dolore ma di tanta speranza!
Ora più che mai ci sentiamo pronte a iniziare la nostra normalità di vita e soprattutto quella di volontarie, che da oggi ha dei valori aggiunti: quello della volontà e del volentieri.
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COVID 19 – IL MIO PERIODO LONTANO DAL SERVIZIO AVO (di Graziella Demicheli – AVO Cuneo)
Mi chiamo Graziella Demicheli; sono volontaria da circa 8 anni dell’AVO di Cuneo dove svolgo il mio servizio presso l’Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo.
L’inizio del mio meraviglioso percorso è stato contraddistinto dal sentimento di “donare”……. donare come una strada a senso unico; l’esperienza e la continua attività mi hanno insegnato quanto sbagliavo…… senza rendermene conto ricevevo e progressivamente mi arricchivo; una continua e costante strada a doppio senso dove io cercavo con tutta la buona volontà di aiutare fisicamente e moralmente chi aveva bisogno: in cambio ricevevo un grazie, un sorriso, una carezza, uno sguardo.
Purtroppo la pandemia del Covid 19 e le relative norme di sicurezza hanno interrotto tutto ciò. Il periodo che è seguito, costretti a privarsi di tutti i contatti umani, in particolar modo quelli derivanti dall’attività di volontariato, è stato un momento di profonda riflessione e meditazione; ho rivisitato tutta la mia storia e l’importanza della vicinanza e l’aiuto verso chi soffre, a volte anche senza fare nulla ma con la sola presenza; ho avuto modo di ripensare e meditare nuovamente sul significato della frase che, ai tempi del primo corso di formazione, mi aveva profondamente colpito: “nell’ultimo letto, nell’ultima corsia c’è un ammalato che chiede un sorriso: il tuo”.
Questa mia riflessione è sfociata in due sentimenti paralleli: una profonda mancanza della quotidianità di essere e fare il volontario AVO, con conseguente sensazione di vuoto, e un emozionante ricordo di alcune persone incontrate nel mio cammino e delle loro storie e confidenze anche personali. Tutto ciò mi ha permesso, in questa fase di vuoto, di rimanere ancorata con la testa, con i sentimenti e con lo spirito al servizio che facevo.
Il periodo della “quarantena forzata” ha inoltre risvegliato con maggior consapevolezza una considerazione che ha sempre contraddistinto il mio cammino: non c’è nulla di scontato; le abitudini e la nostra vita possono cambiare improvvisamente senza alcun preavviso assumendo aspetti diversi.
Durante la prima fase della quarantena, nessuno ipotizzava che l’assenza dal servizio di volontariato potesse essere così lunga e, col perdurare della crisi, ancora oggi non ci sono prospettive e date certe per una ripresa e questo mi ha fortemente amareggiata; infatti, quando ho ricevuto comunicazione dalla segreteria dell’Avo della sospensione, avevo appena portato a casa il camice per essere lavato; una volta lavato l’avevo messo insieme alle altre cose da stirare……..ma ogni volta che lo prendevo in mano, assalita dalla tristezza, passavo ad un altro capo e lo riponevo nuovamente insieme ai nuovi indumenti………e così per parecchie volte…tant’è che ancora oggi, purtroppo, è ancora li in attesa di essere stirato!!!!!!
Nel mezzo della pandemia, per fortuna mio marito aveva continuato a lavorare e questo mi ha permesso, nonostante il terribile momento in cui si viveva, di avere una sorta di normalità. La continua paura, alimentata dalle notizie che giungevano tramite i mass media, mi ha inevitabilmente posto davanti a una situazione completamente nuova e incerta tale da considerare il ritorno in ospedale piuttosto lontano ma allo stesso tempo vicino nei miei ricordi a tal punto di ripercorrere il mio primo giorno da volontaria in reparto, da sola, sommersa da una serie di emozioni che andavano dalla paura di relazionarmi con i malati al desiderio di entrare in empatia con loro.
Ripensando ai miei primi passi in Avo, mi rendo conto di essere nel frattempo maturata e di accostarmi ai malati con una maggiore consapevolezza. Di ciò devo ringraziare l’Avo che mi ha dato la possibilità necessaria per effettuare questo cammino.
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