VISITARE E CONSOLARE GLI AMMALATI

 

Vado a trovare Franco all’ospedale. Mi guarda dritto con i suoi grandi occhi, gialli per la malattia. Che già sento una stretta al cuore. Mi dice subito: “Devo morire. Ho un tumore al pancreas. Mi resta qualche settimana. Devo dirti alcune cose”.
Nel frattempo entra una infermiera che sente le sue parole e interviene: “Ma cosa dice, Franco. Vedrà che si riprenderà. Adesso le cure cominceranno a fare effetto”.
Lui la guarda, infastidito e paziente: “Non mi dica parole inutili: ho avuto la grazia di accettare”. Poi concludiamo il nostro discorso. Prego con lui e lo benedico. Ci salutiamo: la sua stretta di mano è ancora forte.

Questo fatto, che ho vissuto in prima persona, dice quasi tutto quello che provo a scrivere. L’incontro con il malato è sempre un dono.

1. Il dono di un cuore ospitale
Il primo dono da offrire al malato è un cuore ospitale. Essere ospitali significa creare uno spazio dentro di noi dove l’altro possa sostare così com’è. Nell’ospitalità ha luogo una graduale trasformazione del malato, da estraneo a familiare. Il nostro cuore ospitale sarà allora un luogo di pace dove il malato potrà trovare le energie interiori per vivere la malattia. Il nostro cuore ospitale, qualche volta, come una grazia, crea le condizioni perché il morente possa essere in grado di riconciliarsi con la sua storia sofferente, con i familiari, con Dio. E salutare la vita dopo aver fatto tutto per bene.

2. Il dono della consolazione
La parola “consolazione” fa venire in mente la buona azione di chi cerca di portare sollievo e conforto ad una persona ammalata. Allora pensiamo, con preoccupazione, a quali parole dovremo dire. In realtà, la parola con-solare richiama il semplice stare insieme a chi vive un tempo di solitudine: con-solo. Nella visita al malato, la vera domanda da porsi non è “Cosa posso dirgli?”, ma “Chi posso essere per lui”. Vado a trovarlo semplicemente per stare con lui. Per questo, prima delle parole, è importante il silenzio, l’ascolto, il rispetto.
Quando ascoltiamo veramente, siamo disposti a sentire dentro di  noi il dolore dell’altro.  Allora, con sempre rinnovato stupore, accogliamo il bene che il malato ci trasmette. La condivisione del dolore fa male e fa bene allo stesso tempo. Ci fa diventare comunque più umani.

3. Il dono della franchezza
Spesso minimizziamo la situazione critica del malato: “Non ti preoccupare, passerà. Le cure faranno effetto. Non pensarci. Non è niente”. Sono parole che pronunciamo per difendere noi stessi dal dolore. Non siamo all’altezza di sostenere un dialogo franco sulla sua sofferenza. Qualche volta diciamo delle bugie al malato. Come l’infermiera con Franco. Non si tratta di dare una sentenza di morte quando il malato non è pronto. Si tratta di accogliere la consapevolezza a cui è già arrivato. Accompagnarla con discrezione, rispetto, silenzio. E sottolineare le convinzioni a cui è giunto, per consolidarle dentro di lui. E aggiungere poche parole che vengono dal cuore.

4. Il dono della presenza
Quando visitiamo i malati vorremmo comunicare rispetto, comprensione, fiducia, buon umore. Lo possiamo fare con la parola, ma anche con il silenzio ed il contatto fisico. Nessun altro modo di comunicare è paragonabile al contatto che trasmette l’immediatezza del conforto con gli effetti tranquillizzanti, diminuisce l’ansia e rafforza il senso di sicurezza. Baci, carezze e strette di mano, sempre con discrezione e rispetto, sono fonte di grande consolazione.

5. Il dono dell’ascolto
Ascoltare qualcuno vuol dire non solo percepire le sue parole, ma anche i suoi silenzi, i suoi pensieri e le sue emozioni, il grido soffocato di alcuni gesti. Uno dei bisogni fondamentali della persona malata è di parlare e di parlare di sé. E mentre racconta, mette un po’ d’ordine nella sua esistenza sconvolta. Di fronte a chi sa ascoltare, comincia a percepire un qualche senso al suo soffrire. La vita ha valore sempre.
La solidarietà e la vicinanza della comunità sono, nel rispetto della loro sensibilità, un grande aiuto per gli ammalati che si vanno a trovare, per aiutarli a continuare a sperare e farli sentire meno soli e per chi va a trovarli di certo una grande esperienza umana di crescita.

Don Emilio Centomo – Parroco dell’Unità Pastorale della Parrocchia di Sant’Abbondio del Comune di San Bonifacio.