“La medicina vestita di narrazione” (S. Spinsanti ed. Il Pensiero Scientifico)
Frequentando corsie d’ospedale o ambulatori, capita spesso di sentire le proteste dei pazienti che non si sentono ascoltati con attenzione dai medici, concentrati sul computer e pressati dai tanti impegni; dall’altro lato i medici si sentono ridotti a scribacchini, a tecnici, costretti a fare i conti con i bilanci delle aziende sanitarie e con la coerenza tra pratiche e linee-guida imposte dall’alto. Di tale problematica, tanto complessa quanto coinvolgente, si interessa il libro di Sandro Spinsanti La medicina vestita di narrazione, un testo destinato certamente agli operatori sanitari, ma assai utile anche per i volontari che operano accanto ai malati e che ben comprendono l’importanza dell’ascolto nella cura di persone destabilizzate dalla malattia non solo fisicamente, ma anche socialmente e psicologicamente.
Innanzitutto è utile chiarire la differenza tra medicina e cura: la prima è una professione riservata a specialisti, il cui rigore è rivolto in determinati momenti essenzialmente alla struttura biologica del corpo e alle sue patologie, mentre la seconda abbraccia tutto l’ambito dell’esistenza e coinvolge numerosi soggetti, dalla famiglia alla società, dai volontari alle istituzioni sanitarie. Tuttavia la buona medicina non può essere costruita solo sulla scienza, ma le si richiede un di più, un aspetto di umanizzazione che consenta di migliorare l’alleanza terapeutica tra malato e medico. Niente è più sbagliato dell’atteggiamento di cui è modello il Dr. House: “Sono diventato medico per curare le malattie, non i malati”; il malato infatti non può essere ridotto a caso clinico, a cavia da laboratorio. Ascoltarlo non ha solo un valore umanitario, di profondo rispetto verso un individuo unico nella sua personalità ed esperienza di vita. Ascoltarne la narrazione è lo strumento principale dell’arte della diagnosi, consente la sua partecipazione attiva nelle scelte terapeutiche, ne fa il protagonista del processo di cura, tanto più quando tale processo non comporta la totale guarigione.
Il malato ha assoluto bisogno di sostegno e conforto alle sue paure e ansie, di aiuto a ricostruire un senso alla sua vita profondamente sconvolta dalla malattia, al fine di trovare un modo per affrontare un cambiamento esistenziale. Ha insomma bisogno di personale sanitario e di una rete di supporto capace di comprenderlo e di fargli scoprire potenzialità a lui stesso ignote. Narrazione, lettura e scrittura diventano veri aiuti terapeutici per renderlo consapevole della ricchezza della sua vita interiore, della possibilità di rapporti empatici inaspettati, nonostante la malattia, anzi proprio attraverso la malattia. “Guarire e narrare o leggere sono due strade che si incontrano”. Durante la decima Conferenza dei Presidenti a Caserta ne abbiamo avuto testimonianza diretta dagli autori di tre opere autobiografiche, che hanno dimostrato come raccontarsi sia una valvola di sfogo a sofferenze altrimenti disperanti, sia un mezzo per scoprire forza interiore ed emozioni capaci di dare aiuto fisico e morale al malato, ma anche di coinvolgere ascoltatori e lettori in una vera crescita interiore. “La narrazione si rivela uno strumento privilegiato per riemergere dal naufragio esistenziale” prodotto dalla malatia. Spinsanti arriva ad affermare che “senza ascolto non si può fare oggi una buona medicina”, una medicina che sia “sartoriale cioè tagliata su misura della singola persona”.
Tale finalità risulta ancora più importante se si considera che quella italiana è una società sempre più vecchia e, di conseguenza, le malattie spesso croniche richiedono una cura costante e allargata, incentrata, oltre che su terapie appropriate, sulla assistenza psicologica e continua a malati che devono essere aiutati ad affrontare la propria condizione ripristinando “un certo grado di controllo sulla propria vita”. Tutto ciò è ben risaputo dai volontari AVO che operano in particolari reparti ospedalieri e nelle Case protette ove la competenza comunicativa è fondamentale ed è tema trattato ampiamente nei Corsi di formazione. Ascoltare non dipende solo da un istinto che apre il cuore agli altri, ma richiede impegno, creatività, conoscenza di se stessi, dei propri limiti e delle proprie risorse, capacità di attenersi a un silenzio sia fisico, per non interrompere il discorso altrui, sia interiore, per accogliere totalmente la parola altrui, e infine consapevolezza dei diritti e dei doveri di tutti coloro che sono coinvolti nella cura, a partire dal malato stesso. Insomma necessita di capacità critica, sensibilità e attenzione al contesto e alla complessità di un percorso teso a un unico fine: la “co-produzione della salute, più efficace, più partecipata, meno costosa”. Solo così l’ascolto apre alla reciprocità: la storia di chi parla si incontra con la storia di chi ascolta in uno scambio che sancisce l’avvenuta comunicazione e fonda la relazione. La reciprocità, elemento basilare dell’AVO per il nostro fondatore Longhini, esige un coinvolgimento dinamico capace di provocare cambiamento nei due soggetti interessati. “Nell’esperienza piena della reciprocità, la vita dell’altro mi interessa e permette di far nascere situazioni inedite perché da soli siamo un filo, insieme diventiamo un tessuto (proverbio africano). Il filo non copre, non scalda, il tessuto sì”.
Assai interessante credo sia la considerazione con cui Spinsanti conclude il suo libro. La conversazione, non certo quella futile ed evasiva, neppure solo informativa e tanto meno quella veicolata dai social, è un’arte raffinata che comporta uno scambio paritario e rispettoso, un gioco attento e coinvolgente di lettura della personalità e del pensiero altrui; per questo essa era animata e diretta, durante l’Antico Regime, dalle donne. “Possiamo immaginare che qualcosa di analogo possa realizzarsi anche nel regime futuro che costituisce la nostra utopia. Si realizzerà solo se smantelliamo la società patriarcale e assicuriamo una diversa posizione delle donne”. Quale migliore auspicio e sostegno per l’AVO costituita in stragrande maggioranza dalle donne?
Annamaria Ragazzi