Intervista alla Presidente AVO Campania Assunta Amelio
a cura di Marina Chiarmetta
Continua il nostro viaggio tra le AVO regionali.
Marina Chiarmetta intervista Assunta Amelio, Presidente AVO Campania.
Il mio nome è Assunta Amelio, attualmente ricopro il ruolo di Presidente dell’AVO Regione Campania. Vivo a Santa Maria Capua Vetere e sono volontaria dal 1990.
Quali motivazioni ti hanno spinta a diventare un volontario AVO?
Sin da piccola, inspiegabilmente, ho avuto una sorta di “vocazione” nel prendermi cura dei più deboli, degli ammalati. La prima volta che ho curato una persona è stato quando avevo circa 14 anni. Una vicina di casa era allettata da mesi, tale immobilità le aveva generato le cosiddette “piaghe da decubito”, e siccome nessun parente si rese disponibile a disinfettarle e curarle le ferite, mi proposi io, ed incominciai a recarmi a casa sua a giorni alterni per cercare di alleviarle le sofferenze procuratele da queste ferite profonde ed infette.
Crescendo, ho avvertito nel mio cuore il desiderio di fare qualcosa di più. Ho vissuto e vivo in una città abbastanza grande, con diversi bisogni, ed ho avuto, sempre, coscienza di volere donare amore al prossimo in maniera più impegnativa e costante, e soprattutto non da sola, ma condividendo il mio sentire con altre persone. E fu cosi che, 29 anni fa, ho conosciuto l’AVO, Associazione Volontari Ospedalieri. In 29 anni non ho mai interrotto il mio servizio se non in due momenti.
Il primo nel 2004, quando improvvisamente, la mia vita ha avuto una battuta di arresto nello scoprire di avere un cancro, un linfoma di Hodgkin. A volte la vita è strana, 30 secondi bastano a cambiarla. Non è facile in età giovane, quando il mondo ti sorride, quando tutto è perfetto, ricevere una notizia cosi traumatizzante.
Mai mi sono arresa ad una malattia che ti sconvolge la vita. La fede che ho sempre avuto, mi ha sorretta nei momenti più difficili, sia nei momenti di dolore fisico che in quelli di smarrimento psicologico. L’amore della mia famiglia, che non mi ha mollata un secondo e quella dei miei amici che si sono alternati al mio fianco, la fiducia nei medici e nella cura, la voglia di vivere che non è mai venuta meno sono stati la linfa che mi ha infuso il coraggio di combattere.
Oggi, ogni giorno è un dono. Ogni attimo, ogni istante non vanno sprecati, ma gustati, assaporati fino in fondo. Ho avuto la possibilità di rinascere, ho avuto un’altra possibilità e non intendo sprecarla. La sofferenza non deve mai essere vana, e come sostiene Padre Arnaldo Pangrazzi, sono un “guaritore ferito”.
Dopo la mia malattia, sono diventata presidente dell’AVO di Santa Maria Capua Vetere nel 2007 ed ecco che il verbo “costruire” è ritornato ad affollare la mia mente, come onorare il ruolo che i volontari mi avevano affidato, come perseguire nel modo migliore le finalità e gli obiettivi dell’Associazione? Da subito mi sono messa a lavoro, con la collaborazione del mio direttivo, ho migliorato le relazioni con il personale medico e paramedico, ho partecipato a convegni ed iniziative di altre associazioni, ho cercato di amalgamare il gruppo dei volontari attraverso iniziative, e con la costante formazione. Ho sempre pensato che da soli non si lavora bene, la squadra è fondamentale. Ed ancora oggi guido l’Associazione rapportandomi costantemente ai membri del Consiglio Direttivo Regionale. Nel tempo ho allargato il raggio di azione, portando l’AVO nella UOSM 21, sono stata membro del CpP della Asl Caserta, consigliere regionale AVO, insomma la mia vita è stata ed è, in buona parte, proiettata ai sofferenti. Costruire ancora, ed eccomi promotrice di una rete di associazioni territoriali.
La seconda battuta di arresto è stata la nomina di vicesindaco e assessore al volontariato della mia città, un viaggio durato soltanto nove mesi, durante i quali mi sono illusa di portare la mia esperienza di volontariato in un mondo completamente diverso da quello dell’Associazionismo, che è, invece, basato su valori etici e morali autentici.
Quali sono state le maggiori difficoltà nella realtà ospedaliera e all’interno dell’Associazione?
Nel corso di tutti questi anni, durante i quali mi sono sempre sentita parte integrante della grande famiglia AVO, le difficoltà più tangibili riscontrate nella realtà ospedaliera sono state quelle relative al rapporto con il personale paramedico, il quale ha spesso mostrato nei confronti del volontario, un senso di intolleranza, tendendo a sminuire il nostro operato. Nel mio ruolo di guida dell’AVO locale, non ho avvertito attriti tra i volontari che ne hanno fatto parte e sono tuttora soci e volontari. Forse, anche perché l’AVO di Santa Maria era composta da circa 50 unità poi aumentate negli anni per cui è stata davvero una comunità di amicizia. Ritengo fondamentale, che coloro che sono a capo di una associazione quale la nostra, debbano per primi dare il giusto esempio di cosa significhi essere volontari, soltanto così possono correggere le fragilità umane che appartengono al gruppo.
La situazione sia nelle strutture che nella società è profondamente mutata in questi anni?
Si, è mutata. Noi volontari AVO andiamo “contro corrente” in una società nella quale regna “la globalizzazione dell’indifferenza”. Noi promuoviamo la “globalizzazione dell’amore” siamo fautori di comunità solidali. Il nostro impegno ed il nostro agire, ha fatto riconoscere, anche nelle sedi istituzionali, la nostra funzione di utilità sociale del volontariato.
C’è stata una evoluzione del nostro servizio?
Si, c’è stata. Negli anni si è consolidata una “reciprocità” tra l’evoluzione delle politiche sociali, il welfare ed il volontariato organizzato quale l’AVO. Pur non perdendo la sua essenza, la nostra “mission” si è adeguata e tuttora si adegua alla società che cambia. Oggi prestiamo un servizio di’accoglienza all’ingresso dell’ospedale indirizzando i pazienti che non conoscono la struttura e si sentono smarriti. Eroghiamo il servizio di accoglienza in reparti delicati quali Day hospital di oncoematologia, oncologia, day surgery. Siamo presenti negli hospice, nei vari pronto soccorso, nei centri di salute mentale.
Partecipiamo ai tavoli decisionali per rappresentare i bisogni dei cittadini, possiamo definirci un “ponte di solidarietà” tra i cittadini e servizi offerti dalle istituzioni, sperimentando nuovi interventi ed implementando quelli già esistenti.
Secondo te è ancora valida la nostra presenza nei reparti di medicina di stanza in stanza?
Sicuramente è valida la nostra presenza. Non sono malati anche i pazienti dei reparti di medicina? Tale servizio, che tutti i volontari dovrebbero svolgere, anche se per un breve periodo, è fondamentale per ricordarci quali sono le radici dell’AVO, tanto care al prof. Longhini.
Il rapporto con i malati è mutato?
Non è molto mutato, noi curiamo sempre ed ancora le “malattie invisibili”, quelle dell’anima quali la paura, l’angoscia, la solitudine, la rabbia, la tristezza….Piuttosto, oggi, grazie alla formazione costante e mirata, siamo volontari più competenti e preparati.
La collaborazione con il personale potrebbe essere più mirata a pazienti specifici?
Già da qualche anno, in tantissime AVO i volontari sono accanto a pazienti con specifiche patologie, dopo avere frequentato una formazione ad hoc per prestare servizio accanto a questi malati. Cito ad esempio gli ammalati terminali negli hospice, gli ammalati di Alzheimer, i pazienti psichiatrici. Ritengo che sempre di più e meglio dobbiamo essere presenti accanto a coloro che sono affetti da una specifica sofferenza.
Ritieni corretto ed auspicabile un servizio che si allarghi al domiciliare e/ o a persone fragili non solo in ospedale?
Come già detto, eroghiamo già un servizio accanto a pazienti fragili, anche non nelle corsie di un ospedale.
Il servizio domiciliare, già sperimentato in alcune AVO italiane, ha dato un riscontro positivo. Ha però le sue criticità: entrare in casa delle persone richiede qualità personali particolari e comporta dei rischi. Bisogna essere certi che le modalità decise salvaguardino il volontario durante il suo servizio, senza né svalorizzare il suo operato e senza tantomeno “macchiarlo”.