Intervista a Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum del Terzo Settore
Continuano le nostre interviste e i nostri articoli dedicati al futuro del volontariato e dell’AVO dopo la pandemia.
Claudio Lodoli, past President Federavo, intervista Claudia Fiaschi, Portavoce del Forum del Terzo settore sulla ripartenza e sui nuovi scenari, con particolare riguardo al mondo del volontariato. Li ringraziamo molto per questo prezioso contributo
Uno sguardo oltre la pandemia
CL «La società senza dolore» è il titolo dell’ultimo libro di Byung-Chul Han, filosofo coreano molto seguito a livello internazionale, che in poche, dense pagine propone una lettura controcorrente della contemporaneità. La società pervasa dalla tendenza al rifiuto del dolore – sostiene l’autore – si è evoluta in società palliativa, anestetizzata, che tende a ridimensionare ogni avversario (in senso lato anche gli effetti della pandemia) riducendolo ad elemento bifronte, del quale valorizzare le positività nascoste. Una società, quindi, che per garantirsi la sopravvivenza non “riconosce” la paura e perde la voglia di battersi.
La teoria del filosofo, lanciata nel pieno della terza ondata del contagio, può suonare come una provocazione, ma non ti sembra singolare che la parola «resilienza», finora relegata in una pagina poco frequentata dei dizionari della lingua italiana, sia diventata all’improvviso tanto popolare?
CF Non ho letto quel libro, ma dalla tua sintesi posso soltanto dire che intravvedo spunti interessanti di carattere sociologico su cui riflettere. Dal mio punto di vista, rovesciare in positivo le avversità e scoprire le opportunità che nascondono non è un concetto così diverso da quello che ha espresso papa Francesco quando ci ha invitati a non sprecare questa crisi innescata dalla pandemia, chiudendoci in noi stessi senza combattere l’egoismo. Possono sembrare frasi a effetto, ma forse soltanto perché riescono a raccogliere un sentimento comune e a tradurlo in un linguaggio universale e costruttivo.
CL No, non sono frasi ad effetto. Al contrario sono parole che dicono della necessità di risalire alle origini del disastro, per evitare che altri ne nascano.
CF Certamente. Sforzarci di capire la crisi del Covid ci ha imposto di guardare anche oltre l’emergenza immediata, e così ci è apparso in modo ancor più evidente come certi modelli disequilibrati di sviluppo non abbiano fatto altro che aggravare la nostra capacità di risposta a un’emergenza. È la lezione che dobbiamo apprendere “grazie” a tutto il dolore che ci è franato addosso, per poter ripartire. Perché noi crediamo che non si possa ripartire senza abbracciare convintamente un modello di sviluppo economico che sia centrato sulle persone, sulle comunità, e sulla capacità di ridurre quelle disuguaglianze che la pandemia ha perfino, se possibile, accentuato. Come vedi, non si tratta di rifiutare il dolore ma di incidere sulle cause che lo hanno generato e, nell’immediato, di alleviarne gli effetti sulle persone.
CL Il dibattito sul grande tema delle ripartenze nel mondo dell’associazionismo si intensifica alimentato dai webinar e dagli incontri in videoconferenza. Per quanto riguarda l’AVO, le differenti condizioni di contesto e le variegate tipologie delle strutture in cui operano le singole associazioni sul territorio nazionale si riflettono sullo stato d’animo dei volontari. Quindi, nell’assoluta condivisione della necessità di restituire agli assistiti quel sostegno morale che è parte integrante della terapia, registriamo difformità di visioni sulle modalità dell’offerta.
CF È vero: da più di un anno il Covid-19 e le misure restrittive che sono state giocoforza adottate per ostacolarne la corsa hanno aperto in Italia la più grande emergenza sociale dal dopoguerra: una situazione nella quale i bisogni connessi al lavoro di cura e assistenza, solo per citarne alcuni, sono tornati a essere questione centrale. In questo frangente, nelle nostre comunità si sono mobilitate tutte le energie positive del Terzo settore, e il volontariato ha giocato un ruolo decisivo: dove è stato possibile, ha garantito continuità di servizi e assistenza, e ha dato energia a nuove soluzioni a sostegno dei cittadini, in particolar modo i più deboli. Penso, ad esempio, alla popolazione anziana: il nostro contributo è fondamentale nelle attività di assistenza domiciliare e residenziale, come in quelle iniziative di animazione e integrazione sociale, promosse dalle associazioni che si occupano di terza età e di invecchiamento attivo, che rappresentano azioni qualificanti di un modello nuovo e organico di assistenza sociosanitaria.
Ed è anche vero che il virus ha indebolito la nostra capacità di giocare la solidarietà attraverso la prossimità fisica, con la sospensione della maggior parte dei servizi negli ospedali e nelle strutture territoriali. Proprio la presenza sul territorio, e dunque un volontariato di prossimità, capace di dare risposte ai bisogni consolidati e a quelli emergenti, è una sfida da affrontare.
Lo sdoganamento degli strumenti tecnologici, anche con la mediazione decisiva delle nuove generazioni, ci ha aperto nuove possibilità in questo senso. In tutti gli ambiti del Terzo settore – e credo non facciano eccezione il volontariato ospedaliero e sociosanitario in genere – abbiamo appreso insegnamenti che non dovremo disperdere, perché dovremo imparare a convivere con potenziali emergenze e adottare modelli di intervento compatibili coi vincoli che queste emergenze determinano.
CL In effetti, anche in AVO molta parte delle attività è tuttora svolta grazie all’informatica, ad esempio raggiungendo gli assistiti attraverso smartphone o tablet. Non tutti però dispongono di dispositivi adeguati, altri hanno difficoltà ad usarli e non sempre il personale può aiutarli. Inoltre, alla grande maggioranza dei volontari manca il contatto ravvicinato: gli sguardi, le espressioni del viso, il linguaggio del corpo, una carezza.
CF Non c’è dubbio che questa svolta improvvisa e inattesa abbia provocato incertezze e disorientamento. Quindi il cambiamento di passo richiederà una grande innovazione in termini di strumenti, di modalità operative e anche di formazione delle persone.
Non a caso abbiamo chiesto al governo di consentire al non profit, attraverso misure mirate nel Piano nazionale, di consolidare non soltanto i patrimoni e gli investimenti del Terzo settore ma anche gli elementi di transizione tecnologica, ricambio generazionale, innovazione delle competenze, capacità di organizzare nuove soluzioni di prossimità.
CL Un’ultima domanda: in questa prospettiva, quali benefici potranno trarre le associazioni di volontariato come la nostra dalla riforma del Terzo settore, finalmente prossima alla completa attuazione?
CF Prima di tutto, è bene sottolineare che la riforma del Terzo settore ci chiede un salto di qualità dal punto di vista della stabilità organizzativa. Una volta dispiegato il suo potenziale, con norme attuative che speriamo recepiscano le istanze illustrate al governo, favorirà il nostro sviluppo. Pensiamo – anche qui, col supporto delle risorse del Recovery Fund – a una rete di protezione sociale che connetta stabilmente il Terzo settore con le istituzioni pubbliche, e pensiamo anche a un rafforzamento delle reti di collaborazione all’interno delle comunità.
Il nostro orizzonte è quello dell’attenzione alle comunità per ridurre le disuguaglianze, includere tutti, e dunque generare un modello di sviluppo attento alle persone e alle stesse comunità.
Da questa breve, intensa conversazione con Claudia Fiaschi traggo due spunti di riflessione:
- Nella sua interpretazione, la resilienza supera la passività dell’adattamento creativo alle condizioni avverse per affermarsi come capacità di reagire alle avversità attraverso il cambiamento e l’innovazione.
- Quella interpretazione schiude lo sguardo ad una visione prospettica sulla seconda stagione dell’AVO. Un nuovo grande progetto che, valorizzando il patrimonio di esperienza, di conoscenza, di saperi accumulati in quarantacinque anni di attività sul campo, accompagni l’Associazione nel cuore del Terzo millennio, dando spazio e fiducia alle nuove generazioni.