Il volontario AVO di fronte alla sfida della malattia mentale
Corrado Medori*
La malattia mentale ha delle caratteristiche che altre malattie non hanno, per cui prendersi cura di persone affette da problemi di salute mentale non pone solo necessità di assistenza sanitaria. L’impatto della malattia mentale sulla vita del paziente produce isolamento ed esclusione sociale, difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari. Alimenta forme di indifferenza, di emarginazione, di esclusione sociale. I Servizi per la Salute Mentale devono garantire ai malati cura e assistenza, ma anche riabilitazione e reintegrazione sociale, oltre a impegnarsi contro lo «stigma», che crea esclusione ed emarginazione.
In tutti questi interventi il volontario AVO può dare il suo contributo. Possono però esserci dei problemi. Il contatto con la sofferenza è sempre difficile, c’è sempre il timore di non saper entrare in contatto con l’altro. La sofferenza psichica ci mette ancora più in crisi. Aumenta le nostre insicurezze circa la capacità di entrare in contatto con il malato. Essere volontario non significa essere immuni dallo «stigma», da quel pregiudizio che ci può far vedere il malato mentale come pericoloso, incapace di qualunque rapporto umano e ciò continua a costituire un ostacolo ad una maggiore diffusione del volontariato in psichiatria.
Un volontariato che voglia vincere la sfida dell’impegno nel campo della malattia mentale, deve vincere la paura di una condizione che non si conosce e su cui vengono diffuse notizie spesso false; l’incertezza sulla propria capacità di dare aiuti concreti a questi malati così «particolari»; la diffidenza nei confronti di un settore che ci sembra un «mondo a parte, lontano, anche minaccioso».
Per combattere queste condizioni la prima cosa è la conoscenza: l’espressione malattia mentale indica alterazioni nei pensieri, nei comportamenti, nell’umore, accompagnate da sofferenza e, talvolta, da deterioramento delle funzioni mentali. La conoscenza deve essere introduttiva ad una specifica formazione. Il volontario deve essere messo in grado di operare in una struttura che si occupa di malattia mentale, che impone l’adozione di comportamenti che, anche se utilizzati in altri contesti, in questo settore assumono un significato particolare.
E, più di tutto, occorre anche sentirsi preparati. È la cosa più difficile. Significa avere chiare dentro di sé: una motivazione seria ad entrare in rapporto con l’altro; l’umiltà, che ci rende capaci di un continuare ad apprendere sempre e di accettare i fallimenti; un atteggiamento empatico, che renda capaci di porsi nello stato d’animo dell’altro; libertà dai pregiudizi, perché non possiamo aiutare qualcuno avendo un pregiudizio su di lui; una apertura mentale ed affettiva che ci permetta di accogliere positivamente le richieste del malato; e, infine, disponibilità alla costanza nel nostro impegno, fattore indispensabile a consolidare nel malato fiducia e sicurezza.
Occuparsi del malato mentale costituisce una sfida importante per la nostra Associazione. L’assistenza al malato, di tutti i malati, sta spostando il proprio asse dalla struttura ospedaliera ai servizi territoriali, alla domiciliarità. E questo nella realtà dei servizi sanitari di tante nazioni, non solo della nostra. Ciò è ancora più vero nella malattia mentale, dove il paziente deve essere seguito in un lungo percorso, attraverso varie realtà istituzionali: l’ambulatorio territoriale, il reparto ospedaliero, il domicilio del malato, la comunità residenziale, il centro diurno, le unità abitative protette.
Proprio per questo la «relazione d’aiuto» non deve conoscere confini. È stata sicuramente una grande conquista dell’AVO essere riusciti ad ampliare il proprio intervento ai pazienti psichiatrici e aver garantito, a partire dai reparti psichiatrici degli ospedali generali (SPDC): accoglienza, presenza, ascolto, accompagnamento.
Ma il paziente psichiatrico segue spesso un percorso lungo e complesso, dovuto alla particolarità della patologia. Se abbiamo deciso che il nostro volontariato sia rivolto anche a questi malati, non possiamo limitare l’offerta AVO. È importante riaffermare l’idea che la relazione d’aiuto deve essere offerta nei vari contesti in cui si esplica il trattamento del paziente psichiatrico: SPDC-Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Comunità Terapeutiche Residenziali, Appartamenti protetti (Case-famiglia), Centri Diurni, Ambulatori psichiatrici territoriali. E tutto ciò può costituire un arricchimento non solo del nostro lavoro, ma di tutti noi come persone.
*Corrado Medori
Laureato in Sociologia (1978) e in Psicologia (1985) presso l’Università La Sapienza di Roma.
E’ stato Dirigente psicologo presso il Dipartimento di salute mentale di una ASL romana, ove ha lavorato inizialmente presso un reparto dell’ex ospedale psichiatrico, quindi è stato Responsabile di una Comunità terapeutica per pazienti psicotici (15 posti letti) e infine psicologo clinico presso un Centro di salute mentale.
Nel corso di questo periodo ha avuto modo di entrare in contatto con l’AVO e di collaborare saltuariamente alle attività formative dei nuovi volontari.
Dal 2017 è volontario iscritto all’AVO Roma.