Il volontariato, bene prezioso della democrazia*
di Claudio Lodoli

 

Dagli enti del Terzo Settore, ovvero dalla solidarietà autonomamente organizzata dei cittadini, nella prospettiva “rivoluzionaria” individuata dall’articolo 3, comma 2, della Costituzione, ci si attende la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto libertà ed eguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese.
E ciò in un duplice senso: sia con riguardo all’attività degli enti del Terzo Settore e ai suoi risultati (ovvero al suo “impatto sociale”), sia con riguardo agli enti del Terzo Settore come luoghi nei quali gli individui (nella veste di lavoratori, amministratori, volontari o anche utenti/beneficiari) si formano, apprendono, assumono la capacità di auto-gestirsi, di partecipare e di esercitare i loro diritti di cittadinanza. Riconoscendo e promuovendo gli enti del Terzo Settore quali modelli organizzativi della sussidiarietà orizzontale e della solidarietà, organizzata per scopi di eguaglianza sostanziale, questa nuova legislazione, inoltre, rinnova e rinvigorisce il principio pluralistico che informa la nostra Costituzione.

Con le lapidarie parole del giurista Antonio Fici – che tanto ha contribuito alla stesura del testo del decreto legislativo 117 del 3 luglio 2017 – si apre il volume Dalla parte del Terzo Settore, edizione commentata del decreto noto come Codice del Terzo Settore, curato con Emanuele Rossi, Gabriele Sepio e Paolo Venturi. Leggere quel paragrafo nel silenzio del mio studio e mettere le affermazioni rivoluzionarie di Fici a confronto con l’immagine antica del volontariato caritatevole, riserva dei buoni, è stata questione di pochi secondi. Tra il 2015 e il 2017 avevo partecipato al dibattito sulla legge delega del 2016 fino alla sua promulgazione, e in seguito alle lunghe discussioni che hanno animato la stesura definitiva del decreto legislativo. Eppure, solamente in quel momento ho percepito la vera portata dell’innovazione contenuta nei centoquattro articoli.
Nel rispetto dell’italica tradizione, le lentezze burocratiche hanno rallentato la marcia del Codice e si sono dovuti attendere diversi anni perché alcuni fondamentali decreti e atti normativi vedessero la luce. Esattamente come era accaduto con la legge quadro sul volontariato 266 del 1991. Finalmente, con l’avvio del Registro unico nazionale del Terzo Settore a novembre dello scorso anno, la riforma è entrata nel sistema circolatorio delle organizzazioni non lucrative, divenute a vario titolo Enti del Terzo Settore.
Conclusa la premessa, entro nel tema di questa riflessione con l’ausilio dell’articolo 17 del Codice, secondo il quale il volontario è «la persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo Settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà».
Compare per la prima volta una definizione giuridica del cittadino volontario, che sottende la presenza del volontariato in tutte le articolazioni della società civile. La forza del volontariato, che la legge riconosce anche nell’opera di un singolo cittadino indipendente, si sviluppa tuttavia e si sedimenta nelle associazioni, che nel loro insieme si configurano quale motore di una azione culturale e sociale permanente in tutto il territorio nazionale.
Questa è solo la prima evidenza del cambiamento paradigmatico per dirla con Thomas Kuhn – che connota la nuova missione del volontariato. Infatti, connettendo tale definizione con il richiamo all’articolo 3 della Costituzione inserito nell’articolo 1 del Codice del Terzo Settore, nonché con i riferimenti al «rispetto dei principi di democraticità, pari opportunità ed eguaglianza di tutti gli associati e di elettività delle cariche sociali» ricorrenti nel testo, il volontariato assume la dimensione di caposaldo della democrazia nel Paese.
Come si colloca l’AVO in questo contesto? Per tentare una risposta, è opportuno osservare lo stato dell’AVO nel contesto delle attività svolte sul campo, da un lato, e delle dinamiche interne all’organizzazione, dall’altro.
Durante la disastrosa esperienza pandemica, le nostre associazioni territoriali hanno tenuto e – seppure con una certa disomogeneità di risultati nelle varie regioni – in buon numero superato la prova, grazie anche alla scoperta di forme e di spazi d’azione alternativi alle strutture sociosanitarie.
Molti volontari, incoraggiati ad accogliere i nuovi impieghi quali occasioni di crescita e di valorizzazione delle loro competenze, hanno risposto all’appello con ottimi risultati, altri con maggiori difficoltà, altri ancora hanno preferito attendere la ripresa dei servizi tradizionali.
In tutti i casi, la creatività e l’impegno ammirevole dei presidenti, la collaborazione e la flessibilità degli iscritti hanno fatto la differenza: nel complesso le AVO hanno dimostrato di essere mature per assumere un ruolo di rilievo nei sistemi integrati di assistenza domiciliare e territoriale. I saperi consolidati e l’esperienza capitalizzata in decenni di attività nelle strutture sanitarie, la capacità dei nostri volontari di ispirare fiducia, di stabilire al primo impatto un rapporto empatico con chiunque si trovi in uno stato di bisogno possono rivelarsi qualità preziose, in qualsiasi situazione, a supporto e integrazione delle specifiche competenze dei colleghi di altre associazioni o di operatori sociosanitari. Dunque, il lavoro in rete con associazioni complementari sarà la nostra prima pietra, il nostro contributo all’edificazione di una formidabile infrastruttura sociale. E anche all’AVO sarà offerta l’opportunità del «coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore» nella cooperazione con le pubbliche amministrazioni per lo sviluppo di attività di interesse generale, grazie alle norme contenute nell’articolo 55 sull’amministrazione condivisa (coprogrammazione e coprogettazione), vero pilastro del Codice del Terzo Settore.
Si tratta di un’innovazione epocale che nella pratica richiederà preparazione, determinazione, capacità di mediazione da parte dei rappresentanti degli ETS e delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, queste nuove forme di partecipazione attiva ai tavoli con le istituzioni aprono alle nostre associazioni ampi spazi di crescita culturale e di sviluppo sul territorio, in cui coinvolgere soprattutto i giovani. In prima battuta sarebbe sufficiente che alcune AVO con pregresse esperienze, sostenute dalle regionali e dalla Federazione, decidessero di accettare la sfida e di fungere da apripista. D’altra parte, non è stata una grande sfida quella dei primi volontari che, superando le diffidenze del personale e gli ostacoli burocratici, entrarono negli ospedali?
Passando al secondo tema, teoricamente, sembrerebbero molto più semplici da risolvere le problematiche interne che investono:

  1. il ricambio degli organi di governo al livello territoriale e regionale;
  2. le relazioni tra le territoriali, le regionali e la Federazione.

Provo a dare una spiegazione razionale agli aspetti della prima questione, ovvero la scarsa propensione dei soci all’assunzione di responsabilità nella gestione delle associazioni.
Quando le ripetute difficoltà di raccogliere candidature sufficienti a coprire le cariche statutarie trasformano le tornate elettorali in rompicapi, a compensare la scarsità delle new entry intervengono nuclei di soci disposti a riproporsi più volte, magari in altre funzioni o dopo un triennio bianco. In altri casi si impone il sacrificio tutt’altro che spontaneo di alcuni “cirenei”, quando non si ricorre a impropri prolungamenti dei mandati o si cede alla tentazione di modificare lo statuto al bisogno, intaccando così l’alto valore simbolico dell’atto fondamentale che regola la vita dell’associazione.
Quanto più a lungo perdurano le situazioni di stallo, tanto più si riduce la fiducia della base che però, per le ragioni appena illustrate, porta la responsabilità del ricorso a tali espedienti. Sta di fatto che il solco tra i soci e gli organi esecutivi si dilata, mentre si accresce l’indisponibilità ad assumere responsabilità di governo. Insomma, si entra in un circolo vizioso che ruota attorno a braci ardenti coperte di cenere.
Questo meccanismo ricorrente nelle territoriali si replica in sostanza nelle regionali e, seppure in maniera meno evidente, anche nella Federavo. Infatti, dal 2013 – anno della prima elezione diretta del presidente della Federavo – sono state presentate candidature uniche alla presidenza, e neppure oggi, alla fine del terzo triennio, è stato centrato l’obiettivo minimo delle due candidature. Nello specifico, la causa va attribuita alla scarsissima disponibilità dei soci ad entrare nelle liste dei consiglieri predisposte dai candidati presidenti. In tutti i casi la difficoltà di reperire candidature alle maggiori cariche elettive è un fenomeno preoccupante che ostacola l’espressione della democrazia nel suo momento più alto.
Tornando al tema centrale della riflessione, è semplice constatare come nell’ambito delle associazioni regionali e a maggior ragione della Federazione, la ridotta frequenza delle convocazioni assembleari acuisca ulteriormente gli effetti della distanza fra i componenti degli organi esecutivi e gli associati. In effetti la scarsa conoscenza reciproca condiziona e limita la funzione di rappresentanza dei consiglieri, che sovente conducono i loro mandati senza adeguati momenti di confronto con i soci che li hanno eletti.
Quanto alle territoriali, in generale la disaffezione per la partecipazione alle riunioni assembleari – a detta delle autorevoli fonti interpellate – era ragguardevole già prima della pandemia. Con l’irruzione del Covid le assemblee organizzate sulle piattaforme digitali hanno consentito e facilitato la partecipazione, determinando probabilmente (non ho trovato rilevazioni statistiche interne in materia) l’incremento delle presenze. Tuttavia, la difformità delle dotazioni strumentali e delle connessioni – in alcuni casi anche la scarsa familiarità con l’uso dei dispositivi – riducono l’efficacia della maggiore partecipazione. Anche questo è un tema sul quale riflettere.
Tirando le somme, la crescente tendenza dei soci a svolgere il servizio sul campo, lasciando tutto il resto ai pochi che se la sentono, indebolisce la democrazia interna delle associazioni e la democraticità del sistema AVO. Ma la democrazia sociale ispirata ai principi della Costituzione della Repubblica è il presupposto della democrazia politica del Paese, e ogni volontario, cittadino prima di tutto, ha il dovere morale di contribuire allo sviluppo dell’associazione mettendo a disposizione, per quanto possibile, le proprie competenze oltre il servizio agli assistiti.
Con la raccomandazione di non sottovalutare i rischi di questa perdita secca, propongo due azioni di orientamento (e le relative attività) che, se ben condotte, già nel medio periodo potranno mostrare segnali di un’inversione di tendenza.

  1. La legge di riforma del Terzo Settore, costata anni di studio, lavoro e delicate mediazioni, deve essere capillarmente promossa e illustrata anche in forma divulgativa, facendo emergere il ruolo sociale che – al di là dei luoghi comuni – il testo attribuisce alle organizzazioni di volontariato, e la dignità che conferisce al singolo volontario. Particolare cura sarà riservata al Registro unico nazionale del Terzo Settore (RUNTS) che, progettato come una casa di vetro aperta alla consultazione dei cittadini, favorisce la conoscenza e la visibilità di tutti gli Enti del Terzo Settore. Infatti, soltanto con l’iscrizione al RUNTS le organizzazioni non lucrative possono acquisire la qualifica di ETS, inseriti in una delle sette sezioni previste dal Codice. Nello stesso tempo le accurate procedure di iscrizione e le verifiche successive garantiscono sotto ogni aspetto la qualità e l’affidabilità degli Enti iscritti.
  1. La misura più idonea alla creazione di un duraturo rapporto di fiducia fra gli organi direttivi-esecutivi e la base associativa risiede nel maggiore coinvolgimento dei soci nella conduzione delle organizzazioni, a iniziare dalle più elementari attenzioni:
  • Presentare e discutere in assemblea il programma generale all’inizio dei mandati, specificando i primi obiettivi che si intende raggiungere e i successivi programmi annuali nella prima riunione assembleare di ogni esercizio;
  • Informare i soci sullo stato delle attività in corso d’opera, rendendo conto puntualmente dei risultati raggiunti, come dei mancati obiettivi;
  • Ascoltare con regolarità la voce dei soci raccogliendo le loro istanze, dando risposte esaurienti alle loro domande, condividendo i loro problemi e offrendo il supporto necessario per risolverli;
  • Consultare l’assemblea prima di assumere decisioni di particolare rilevanza, incoraggiare il confronto, accettare la discussione libera e pacata di ogni argomento, accogliere i suggerimenti e le critiche invitando i soci a presentare loro eventuali proposte, sondare il livello di soddisfazione della base a metà mandato ricorrendo a brevi questionari per poi commentarli in assemblea e infine, perfezionando l’uso delle piattaforme informatiche, incrementare il numero delle riunioni assembleari e le occasioni di dialogo con la base;
  • Dimostrare competenza, fiducia e rispetto reciproci crea l’humus nel quale il seme della partecipazione può germogliare. Un Consiglio competente e ben diretto può organizzare dei percorsi formativi “sartoriali” e interattivi per piccoli gruppi selezionati in base ai bisogni dichiarati, in cui le lezioni frontali siano ridotte all’essenziale. Alcuni posti saranno destinati prioritariamente agli iscritti al di sotto dei quarant’anni, perché in ciascuno di quegli incontri-laboratori possono emergere o confermarsi le nuove speranze dell’AVO;
  • Trasmettere alla base il senso dell’importanza, della serietà dell’impegno e delle gratificazioni morali che si ricevono quando ci si dedica al governo delle associazioni con onestà, lealtà, costanza e rispetto dei soci.

Se è certo che seguire la traccia indicata nelle articolazioni dei due punti sopra esposti costa molto in termini di studio, di lavoro e di tempo, è altrettanto certo che per un presidente e per un Consiglio direttivo decisi a onorare i loro ruoli istituzionali, quella è la via maestra.

Così è scaturita l’idea di una consultazione delle AVO in collaborazione con le regionali, alle quali è affidata la gestione di un questionario destinato alle territoriali di pertinenza da compilare seguendo le istruzioni, con un’avvertenza: l’indagine conoscitiva è centrata sull’organizzazione e sulla struttura della Federavo, non sull’efficienza e sull’efficacia del Consiglio che oggi la conduce, o dei Consigli che ieri l’hanno condotta.
Concludendo, i dati oggettivi che emergeranno dall’indagine – unitamente al terzo Censimento delle AVO d’Italia – saranno un lascito del Consiglio Nazionale e della Conferenza delle Regioni in carica per coloro che prossimamente assumeranno la guida della Federazione.

15 marzo 2022

 

*Ho iniziato a scrivere questo articolo quando ancora non era scoppiata la guerra in Ucraina. Alla luce di quanto sta accadendo ai confini dell’Unione europea, l’infrastruttura sociale del volontariato appare veramente un bene prezioso della democrazia, da sostenere e tutelare con la massima cura.