Guardare “oltre la siepe”, “AVO a colori” ci aspetta

 

Frequento assiduamente da anni la sede AVO di Via Dezza che è anche la sede legale di Federavo, AVO Regionale Lombardia ed AFCV, di norma le mie visite sono abbastanza brevi e dai ritmi serrati, firma della corrispondenza, interazione con le volontarie della segreteria ed altri volontari piuttosto che impegnative riunioni di consiglio o con i vari coordinatori dei gruppi di volontari.

In questo tempo sospeso, dove tutto è rarefatto, sono andato in sede per firmare dei documenti, ero solo ed il mio occhio si è posato su un raccoglitore posto ad un ripiano alto sul cui dorso è scritto “vicende dalla fondazione dell’A.V.O.”, l’ho immediatamente preso e mi si è aperto un mondo.

Nel raccoglitore ci sono tante “veline”, fogli sottilissimi che venivano usati per fare le copie dei documenti battuti a macchina usando la carta carbone, dove sono stati ribattuti fogli scritti a mano con quelle grafìe eleganti che incuriosiscono, si parte da documenti del 10 marzo 1975 fino ad arrivare a documenti più recenti della seconda metà degli anni ottanta nonché alle richieste di volontari di diventare soci o a questionari informativi fatti compilare ad aspiranti volontari.

Chi come me ha qualche anno sulle spalle, ricorda bene l’incubo delle veline, dal fare le correzioni al ribattere tutto quando qualcuno faceva delle modifiche, si capisce quanto lavoro di segreteria ci sia dietro quelle carte che “aprono il cuore” perché disegnano la nascita di una Associazione che diventerà un’esperienza straordinaria, i contenuti sono profondi, si parla di pedagogia morale, psicologia, accompagnamento alla morte, coscienza, responsabilità, formazione, il tutto in modo mai banale e di straordinaria attualità, si disegna la struttura giuridica e organizzativa del “Corpo Volontari” (così allora si chiamava l’AVO) e si scrive di “raccolta, elaborazione e giudizio sui dati emergenti dell’attività” e su quanto questi possano contribuire a “… formarsi un corretto giudizio sull’andamento delle strutture pubbliche sanitarie ed assistenziali…” e “… sviluppare nel volontario il dovere di partecipazione responsabile al perseguimento del bene comune..”.

Ma le sorprese non sono finite, l’incipit dello stesso documento, datato 14 aprile 1975, recita “Il Corpo dei Volontari è destinato a esplicare la propria attività nell’ambito della struttura ospedaliera e nell’ambito della struttura familiare.

Mi sono chiesto cosa intendesse l’Avvocato Grassani, estensore del documento, quando scriveva “struttura familiare”, la mia mente l’ha associata ad un servizio domiciliare, ho telefonato ad una socia storica ma neanche lei è riuscita a darmi l’esatto contenuto di cosa intendessero i padri fondatori quando scrivevano di famiglia.

Le pagine presenti nel raccoglitore sono molte e ad un certo punto sono incappato in alcune copie di un “questionario informativo” dove gli aspiranti volontari rispondevano ad alcune domande per consentire una loro “adeguata collocazione”. Al di là degli orari e giorni di servizio ben più ampi di quelli attualmente in uso (per esempio il sabato dalle 15 alle 21 e la domenica dalle 10,30 alle 21) tra i “compiti previsti per i volontari, ai quali si sente maggiormente preparato”, l’aspirante volontario doveva scegliere tra:

  • servizio normale nella corsia
  • dialogo col malato grave
  • servizi vari (tempo libero)
  • servizi domiciliari (pre e post-ricovero)

Alla domanda successiva veniva richiesto agli aspiranti volontari di dichiarare la propria disponibilità a “assistenza notturna” e “servizi esterni”.
Non potevo credere a quanto stessi leggendo e soprattutto alla scheda di Liana, classe 1923, che aveva barrato le caselle dei “servizi vari” e dei “servizi domiciliari”.

Già allora si parlava di “servizi domiciliari” da parte dell’Associazione e pertanto non è una novità degli ultimi anni ma forse nel 1975-6 i tempi non erano maturi per questo mentre lo sono oggi quando si parla di riportare la medicina sul territorio vista l’esperienza della pandemia in corso. Ma il bisogno di stare vicino alle persone al domicilio non è nato con la pandemia ma ben prima quando le degenze ospedaliere si sono ridotte al minimo indispensabile ed i malati vengono dimessi il prima possibile.  Sempre più spesso, al loro ritorno a casa, devono affrontare la solitudine che, in assenza di familiari o amici,  può essere alleviata dal conforto che un volontario può dare ed è in grado di dare, dopo aver aderito ad un processo di crescita individuale attraverso la formazione continua.

Non è facile cambiare approccio dopo anni in cui la nostra attività si è svolta quasi esclusivamente nelle strutture che per molti aspetti sono “protettive” perché consentono al volontario di avere una precisa identità già dal camice che indossa,  ma è possibile, se ci si sforza di guardare “oltre la siepe” ed esercitare due competenze dei volontari AVO che sono osservare e ascoltare che in questo caso vuol dire guardare cosa ci sta intorno:  quante persone sole avrebbero piacere anche solo di ricevere una telefonata da parte di un volontario che li faccia sentire ancora parte di una società che corre veloce ed ha ormai una struttura che alimenta le solitudini?

Rispetto al 1975, oggi abbiamo la tecnologia che ci aiuta notevolmente consentendoci, sovente senza costi, di dare sfogo alla nostra fantasia (sempre rimanendo nell’alveo dei nostri valori fondanti!), non era così nel 1975 eppure i nostri fondatori sono riusciti a creare qualcosa di straordinario “guardandosi intorno ed ascoltando i bisogni”, non solo nell’ospedale dove era primario il Professor Longhini ma anche all’estero dove le esperienze di volontariato avevano già una struttura più avanzata.

Allora eravamo nel pieno degli anni di piombo, a Sesto San Giovanni, dove era primario il Prof. Longhini, allora denominata la Stalingrado d’Italia, le contrapposizioni politiche erano molto forti, il clima generale nazionale non era sereno eppure la società è rinata, oggi spetta a noi disegnare e dare corpo al futuro dopo questa pandemia che ci ha messo in ginocchio, ma anche richiamati all’esigenza di esercitare la nostra responsabilità di cittadini, volontari e amministratori/leader, guardando oltre per costruire insieme un nuovo futuro.

Noi dell’AVO non possiamo esimerci dalla responsabilità (e dall’opportunità!) di rispondere a questa rinascita post-pandemia, ispirandoci  alle solide radici messe a dimora dai nostri fondatori. Non possiamo rinunciare a questo compito perché i valori di AVO ci richiamano ad una partecipazione attiva ai problemi socio-sanitari del nostro territorio, non sto certo dicendo che da domani ci dimentichiamo l’ospedale ma che ci dobbiamo aprire all’esterno. Prendiamo spunto dal questionario firmato da Liana nel 1976, sono convinto che ci siano aspiranti volontari inclini a seguire un anziano a domicilio ma restii a stare in una corsia e vice-versa, facciamo tesoro di questo “tempo di non presenza” per sperimentare e prepararci al tempo in cui la pandemia non sarà più l’argomento del giorno che ci assilla.

Francesco Colombo – Presidente AVO Milano