Convegno AVO Triveneto “Essere farmaci accanto ai diversi volti della fragilità umana”
Il 22 settembre 2018 si è tenuto a Mirano il Convegno dell’AVO Triveneto. Il Convegno è stato aperto dal Presidente dell’AVO di Mirano, Cinzia Marella. Hanno portato il saluto e l’augurio, per l’importante iniziativa, la prof.ssa Cibin, a nome dell’Amministrazione comunale, il dr. Tessarin per conto dell’Aulss 3.
Il dr. Padre Pangrazzi ha iniziato la sua relazione, partendo dal presupposto socio-sanitario-esistenziale che ogni storia personale è cosparsa di ferite fisiche, affettive, morali.
La vita è un laboratorio di ferite, dominato da tre capisaldi: la nascita, l’amore e la morte.
Il relatore ha sottolineato il valore e il significato di alcune situazioni umane che si incontrano durante la vita, in primo luogo:
La fragilità
è una esperienza quotidiana che si connette con la sofferenza, la malattia e la morte e fa parte del corredo di ogni persona, sia sano che ammalato.
Ignorare la propria e l’altrui fragilità impedisce un vero contatto umano, l’aiuto che si può regalare al prossimo.
La fragilità aiuta a capire:
- La provvisorietà di ogni bene e sicurezza;
- La condizione di limite e precarietà del corpo;
- La transitorietà della vita e la caduta dell’illusione di una falsa immortalità;
- La consapevolezza della propria dipendenza da Dio e dagli altri;
- La sfida a riconciliarsi con la propria impotenza e a cercare e fortificare la virtù.
Per capire il valore e il significato della fragilità, il relatore ha riportato l’esempio dell’ostrica: questo mollusco finchè è sano, naturale, non produce alcuna madreperla, ma se viene ferito, da uno o più granelli di sabbia, è costretto a difendersi, supera il trauma e produce la perla, il tesoro ricercato; la madreperla protegge il corpo dell’ostrica, che diviene prezioso proprio perchè viene ferito e cicatrizzato.
Produrre risentimenti, pus infetto, lasciare le ferite aperte: vengono a mancare le cicatrici, il dolore non diventa amore, le ferite non diventano risorse.
Dopo la ferita deve arrivare la cicatrice, e questa è la più intima necessità della persona.
Dalla sofferenza, dalle ferite, dopo le cicatrici sono nati gli spiriti più forti, gli animi più generosi, gli eroi e i santi, che ci hanno lasciato il loro esempio e il loro insegnamento e che ci ricordano che :
- Non si può vivere senza soffrire;
- Non si può soffrire senza sperare;
- Non si può sperare senza aprirsi agli altri.
Vulnerabilità e ferite
La vulnerabilità può riguardare le dimensioni fisica, mentale, sociale, emotiva, spirituale:
- Vulnerabilità fisiche: traumi dell’infanzia, abusi, conseguenze di conflitti sociali, e soprattutto malattie di ogni genere con menomazioni fisiche;
- Vulnerabilità psichiche: da disturbi dell’anima, depressioni, allucinazioni, fissazioni, disturbi affettivi, perdita di riferimenti, solitudine, mancanza di affetti, torti subiti, sfruttamento, umiliazioni, disturbi alimentari (anoressia, bulinemia);
- Vulnerabilità sociali: da alcolismo, tossicodipendenza, gioco d’azzardo, violenza, povertà, malattie sessualmente trasmissibili;
- Vulnerabilità emotiva: abbandono, rifiuto, tradimenti, perdite, lutti;
- Vulnerabilità spirituali: da mancanza del senso della vita, vuoto trascendentale, crisi di fede, senso di colpa permanente, influenza di sette sataniche, disperazione.
Il pianeta umanità è abitato da un’infinità di creature, ognuna con la somma delle ferite ricevute, create, causate cammin facendo, e dalle ferite da cui esce sangue, ma può entrare saggezza.
Non sono importanti le ferite, ma come si costruisce la vita con le ferite.
Le ferite vanno cicatrizzate e sono in grado di rendere la personalità più forte.
La ferita guarita ha il merito di portare al centro dell’attenzione la sofferenza, che può sconvolgere perché rende fragili, ma ha il valore di una sfida, che per il volontario diventa una missione.
Si deve accettare che tutte le persone sono contemporaneamente guaritori e feriti, aiutanti e aiutati, sani e malati, maestri e allievi.
Volontario: guaritore-ferito
L’opera del volontario si sviluppa all’interno della struttura ospedaliera-assistenziale e l’ospedale è la cattedrale dove albergano i diversi volti del patire umano, per curare le varie malattie che diventano la sfida ultima alla propria personale progettualità.
Se in ogni aiutante abita un malato, un ferito, un cicatrizzato, allora ogni volontario non può non essere, non diventare un guaritore ferito, perché solo le ferite mantengono le persone umili, aperte alla grazia non umana, solidali con gli altri.
Per essere “farmaci” diventa indispensabile accogliere le ferite del prossimo al fine di mobilitare le risorse, che potranno infondere coraggio, speranza, ottimismo di fronte alle prove della vita e ora di fronte alla malattia.
Essere farmaci è più importante che dare farmaci.
La malattia
E’ uno stato di grande fragilità ed è influenzata:
- da circostanze: il tipo di patologia, l’età, il sesso, la personalità, la situazione familiare, sociale ed economica, le precedenti esperienze;
- dal significato attribuito alla malattia: castigo o punizione, prova o espiazione, fatalità o predestinazione, maledizione o superstizione, assurdità o scandalo, ingiustizia o responsabilità personale, legge di natura o mistero, opportunità di vita, sublimazione, possibilità di santificazione;
- dalla presenza di risorse esterne: la famiglia, il lavoro, gli operatori e le strutture sanitarie, gli amici, la Chiesa di appartenenza;
- dalla presenza di risorse interiori: di tipo culturale, psicologico, interpersonale, spirituale.
Sembra di capire che non è la malattia o le circostanze che rendono felici o infelici le persone, ma l’atteggiamento verso la vita proprio del malato e del guaritore.
Cicatrizzazione
Dovrà essere orientata a sanare:
– la mente
– il cuore
– lo spirito
– gli atteggiamenti
con l’obiettivo di dare un significato alla sofferenza attraverso
Un arricchimento delle competenze :
– umane: nel rispetto, nell’amicizia;
– relazionali: per entrare in simpatia, poter e saper comunicare;
– emotive: con l’accompagnamento dei bisogni e dei sentimenti:
– spirituali: incontrando e concordando le necessità spirituali.
Un’attenzione particolare ai sentimenti dei pazienti feriti
I sentimenti sono sempre presenti, naturali, intimi, consapevoli, anche se non sempre manifesti, ma sono sorgenti di verità personali.
Quattro sono i sentimenti fondamentali:
– Allegria
– Tristezza
– Paura
– Collera
con gradi, sfumature, sottoclassificazioni diverse.
Il paziente malato generalmente è sopraffatto da questi sentimenti:
– Ansia (con angoscia, timore del futuro)
– Collera (con rabbia, frustrazione, senso dell’ostacolo)
– Tristezza (per la perdita fisica, sconforto, depressione)
– Colpa (con rimpianto per fallimenti precedenti).
I sentimenti possono denotare un eccessivo controllo o una eccessiva esplosione e vengono espressi in forma verbale, in forme non verbali e attraverso i comportamenti.
L’aiutante (volontario ferito) dovrebbe aiutare il malato ferito a tenere sotto controllo i sentimenti e canalizzare le sensazioni intime attraverso un processo di consapevolezza, di comprensione, di accettazione, per umanizzare il vasto mare dei sentimenti.
Potrebbe essere una buona prassi lasciare sfogare il ferito per farci raccontare la sua esperienza e poter riflettere, comprendere e crescere in due.
Coltivare l’ascolto e la comunicazione
L’arte della comunicazione non è né facile, né immediata, perché il malato-ferito ha sicuramente una biografia complessa, sfaccettata, ha senz’altro una storia alle spalle ed un suo profilo:
– fisico
– razionale
– psicologico
– spirituale
profilo assolutamente personale ed unico.
Pertanto il guaritore-ferito (farmaco potenziale) deve in primo luogo:
- presentarsi umile con silenzioso rispetto;
- esibire una gestualità appropriata;
- educarsi alla simpatia e all’empatia
- trasmettere consolazione, accoglienza, calore umano.
Praticamente, durante la comunicazione, è consigliabile:
- porsi in ascolto totale;
- non essere facili consolatori, non dare consigli;
- non giudicare gli altri, per non creare inutili barriere;
- non enfatizzare, né minimizzare;
- non apportare proprie esperienze;
- evitare i facili proverbi, i sofismi, i filosofismi;
- non affidare la soluzione della crisi a forze estranee, superiori;
- affrontare il disagio con toni opportuni;
- evitare la frettolosità e la mancanza di pazienza;
- evitare l’ansietà la passività, la distrazione e la superficialità;
- abbandonare l’apatia, per trovare la simpatia ed arrivare a
L’empatia
E’ il punto più alto dell’ascolto, sa osservare, ascoltare e rispondere;
non è solo simpatia, non è identificazione emotiva, non è sovrapposizione di esperienze, non è sentimentalismo.
E’ piuttosto:
- ascolto vivo
- saper vedere le cose e le situazioni dalla prospettiva del ferito;
- saper mettersi nei panni dell’altro;
- accogliere pensieri e sentimenti del ferito.
Diceva il grande Galileo:
“Non si può insegnare niente ad una persona: solo la si può aiutare a trovare la risposta giusta dentro se stessi”