Cari Volontari, siamo in Avvento (di P. Arnaldo Pangrazzi)
Cari volontari,
Siamo in Avvento, tempo di attesa. Quest’anno un’attesa impregnata di significati particolari: attesa di un vaccino, attesa di libertà, attesa di poter riabbracciare persone care, attesa di festa, attesa di normalità.
La crisi planetaria innescata dal Covid-19 ha disseminato rovine di varie genere: ha stressato le famiglie, acutizzato i dissidi di coppia, incrementato la povertà, fatto fallire aziende, chiuso i teatri e gli stadi, impedito ai giovani di incontrarsi, costretto la Chiesa a ridimensionare la sua presenza, sovraccaricato i reparti di terapia intensiva, riempito di bare i crematori, sottratto ai morti il diritto di una degna sepoltura.
L’emergenza sanitaria ha diffuso il contagio della paura e della solitudine affliggendo, in particolare, gli anziani e i morenti esposti a traumi psicologici per sostegni mancati, assenze dolorose, addii non detti. Molte famiglie sono immerse in cordogli intrisi di rammarico e incompiutezza.
Anche il volontariato ha risentito del clima travagliato, dei limiti imposti, dei molteplici disagi e criticità che hanno contrassegnato il vissuto personale, il clima dell’Associazione e l’ambito del servizio.
Il 2020 è stato un bagno di duro realismo che ha fatto crollare false certezze e fragili illusioni ricordandoci che tutto è dono prima che diritto, tutto è precario prima che sicuro.
W. Caster diceva che “Ci sono cose che si imparano meglio nella calma, altre nella tempesta”.
Il confinamento sociale ha favorito in molti la riscoperta del valore della natura e del silenzio, l’uso saggio e creativo del tempo, un’accresciuta consapevolezza della provvisorietà dei progetti, l’opportunità di riordinare cose accumulate o sbarazzarsi di quelle inutili, oltre che educare alla pazienza e a prendere consapevolezza che “siamo tutti sulla stessa barca”.
La pandemia, insieme ai problemi concreti legati alle sfide sanitarie, economiche e sociali ci ha regalato frammenti di un mondo più umano: si è meno menefreghisti e più responsabili, meno frenetici e più riflessivi, meno presuntuosi e più umili, meno superficiali e più essenziali.
Come scriveva Eugène Delacroix, “L’avversità restituisce agli uomini tutte le virtù che la prosperità toglie loro”.
Il covid-19, invisibile e onnipresente, ha evidenziato l’immenso potere di ciò che è piccolo e può confondere i forti, la scienza e le multinazionali.
Il Natale è, in particolare, la festa dei piccoli, dei poveri, dei dimenticati, rappresentata da Colui che è nato povero, per renderci ricchi con la sua presenza. La sua nascita ha cambiato il mondo e il suo vangelo ha illuminato il patire e lo sperare umano.
Questi mesi hanno messo a nudo la nostra fragilità, scombussolato le nostre abitudini, purificato le nostre credenze per prepararci a celebrare l’autentico spirito del Natale fondato sulla semplicità, essenzialità e profondità.
Più di altre occasioni, questo Natale privilegia l’interiorità più che l’esteriorità, la pazienza più che l’angustia, la lentezza più che la frettolosità, il “noi” più che l’“io”.
È un Natale che ci unisce alle persone più fragili (disabili, anziani, morenti, persone in lutto) attraverso la preghiera e l’unione spirituale, oltre che iniziative di prossimità e solidarietà ispirate dalla creatività dei volontari.
Gesù rinasca nei nostri cuori, talvolta turbati, impauriti o tristi, per avvolgerci con la Sua luce, perché la possiamo riflettere, e sostenerci con la sua vicinanza nella consapevolezza che siamo contemporaneamente “consolati” e “consolatori”, “feriti” e “ guaritori”.
L’evento incredibile del Natale, come il tempo indimenticabile della pandemia, ci disponga a sottoporci al tampone dell’umiltà, a vestirci della mascherina della speranza, a nutrirci del vaccino della fede per affrontare le sorprese e il mistero del futuro sostenuti dall’Emmanuele “il Dio con noi”.