Anna Covini: il profumo dell’aria pulita
In ricordo della nostra amica dottoressa Anna Covini, pubblichiamo un suo articolo, tratto da Noi Insieme 9/2006, che parla della ripresa del servizio dopo il periodo estivo, niente di più attuale.
Settembre: incomincia un nuovo anno in corsia.
Ricomincia un impegno che abbiamo abbracciato con entusiasmo mesi o anni fa e che, al rientro in servizio, deve avere la freschezza ed il profumo dei monti dove abbiamo trascorso il nostro momento di riposo, o il calore ed il vigore che il sole e le nuotate in mare hanno alimentato durante la vacanza.
Questo rientro al completo di volontari in ospedale deve essere una boccata di ossigeno che si diffonde per le corsie: aria nuova, più pura, più ricca. Come quando si spalanca la finestra dopo un temporale: profumo di aria rinnovata.
L’inizio di ogni nuovo anno comporta il grave pericolo di tirare un sospiro e pensare: “Avanti, ricominciamo, non c’è nulla di nuovo sotto il sole: casa, lavoro, ospedale. Per fortuna almeno l’ospedale non mi crea problemi, posso andarci ad occhi chiusi… Anche in reparto, anche accanto ad ogni letto, ormai sono pratico”.
La verità è che non c’è mai pratica acquisita dove il volontariato comporti un rapporto umano. E figuriamoci se il rapporto riguarda una persona ammalata, un anziano, un giovane, che forse ha di fronte a sé mesi di cure per una guarigione incerta o per un recupero di funzioni sicuramente parziale. Allora dobbiamo essere cauti nel parlare di “pratica”. Dobbiamo muoverci con una grande prudenza, con un grande rispetto per l’altro, con il desiderio di “incontrare l’ammalato”, cioè di accoglierlo, quasi di abbracciarlo fisicamente, di capirlo per trovare gesti o parole di conforto.
La presunzione invece è un atteggiamento mentale che ci rende antipatici a tutti, che crea una barriera, piuttosto che unire, che impedisce la comunicazione: è freddezza, supponenza…
Non serve in ospedale, fa solo danno. Bisogna perciò lasciarla a casa.
Ricordo le raccomandazioni che ho sempre sentito all’AVO e che sono, secondo me, l’anima dell’associazione:
1. Essere presenti, vicino al malato, con la mente e con il cuore. Presenza consapevole, voluta, attesa, non passiva o rassegnata; tensione verso il malato
2. Sapere ascoltare come atto d’amore. La gente si può ammalare se non ha ascolto. L’assenza di ascolto ti destituisce di ogni dignità, ti isola, ti intristisce, ti fa sentire solo.
3. Cogliere il bisogno: età diverse; bisogni diversi; persone diverse; problemi diversi; situazioni familiari diverse; preoccupazioni diverse; malati diversi; sofferenza diversa.
4. Capire la solitudine: la solitudine è raramente una scelta. Nella maggior parte dei casi è una condizione che viene creandosi perché la vita impone separazioni e lontananze, perché la stanchezza degli anni impedisce di rincorrere parenti e amici, perché il sovrapporsi delle sofferenze e delle contrarietà ci rende incapaci di comunicare e persino di chiedere aiuto.
5. Condividere la sofferenza: si può solo amare chi soffre. Non è nelle competenze, neppure nelle possibilità del volontario, lenire la sofferenza fisica, ma capirla ed aiutare ad accettarla con coraggio piuttosto che abbandonarsi alla disperazione… Questo sì, il volontariato può riuscire a farlo.
6. E infine, quando si entra in ospedale, sorridere perché questo significa che si è riusciti a liberarsi della stanchezza, delle preoccupazioni, del pensiero della fatica che ci aspetta al ritorno a casa. Sorridere per esprimere la gioia di trovarsi in un luogo dove si potrà offrire qualcosa; e ancora non sappiamo quanto verrà offerto a noi come esempio di coraggio, come capacità di sopportazione, di pazienza, di dignità. Sorridere con coraggio perché forse si incontrerà anche disperazione, depressione… Ammalati impauriti dall’ambiente ospedaliero e dagli interventi che dovranno subire. Ammalati che si sentono naufragare nell’anonimato in cui sono lasciati.
Allora dovremo fare emergere la parte migliore di noi e sapere comunque accogliere tutta questa sofferenza e trovare sguardi, contatti umani delicatissimi, parole che depongono un seme di speranza.
Cari amici che state riprendendo il vostro servizio, la mia speranza e la mia raccomandazione è che abbiate voglia, prima di rientrare in ospedale, di pensare un momento a queste cose affinché un anno di lavoro non sia un malinconico e sterile trascinarsi per le corsie, ma un luminoso cammino per voi e per i vostri ammalati.
Auguri!
Anna Covini