A. Siani: la mia esperienza con AVO
Mi chiamo Arsenio Siani, sono nato a Sarno, in provincia di Salerno il 29/09/1982, ma vivo a Siena da 13 anni. La mia vita è stata caratterizzata da un costante tormento interiore; da bambino ero ipersensibile, introverso, timido, schivo e questo aspetto del mio carattere mi ha causato diversi problemi relazionali. Ben presto il disagio si è tramutato in sofferenza e, prima di esserne schiacciato, ho deciso di iniziare un percorso interiore che mi ha portato, nel 2009, alla pratica buddista e, in seguito, alla psicoterapia e al counseling. La passione per queste pratiche di trasformazione ed evoluzione interiore mi ha condotto a riprendere gli studi e a frequentare una scuola di counseling in cui mi sono diplomato nel gennaio 2017. Parte di questo percorso di crescita interiore è anche la mia esperienza di volontariato. Da circa un anno ho iniziato la mia esperienza di volontario in ospedale tramite l’AVO. Una volta a settimana, per 2-3 ore, mi reco in un reparto del policlinico “Le scotte” di Siena, giro tra le corsie e le camere alla ricerca di persone che abbiano bisogno di compagnia, conforto o semplicemente scambiare due chiacchiere, così da allietare per qualche minuto quel triste soggiorno. Un’esperienza che mi appaga e mi consente di fare degli incontri che mi arricchiscono. In quelle corsie risiede un’umanità pulsante da cui emergono storie di vita che ti cambiano dentro, lasciano il segno e continuano a vivere dentro di te, diventando un po’ anche la tua storia.
Vorrei condividere con voi la storia di questo incontro che, a mio avviso, merita di essere raccontata e che testimonia l’importanza di questa attività di volontariato che permette di fare del bene a qualcun altro e, indirettamente, anche a se stessi. Perché il volontariato in ospedale ti cambia la vita. Per me è stato così.
Un giorno, durante il servizio, ho incrociato un anziano signore ricoverato per una frattura ad un piede. Aveva circa ottanta anni, un viso duro e spigoloso che mostrava i segni del tempo, con profonde rughe che sembravano solchi nella roccia scavati con lo scalpello della sofferenza. I suoi occhi erano azzurro ghiaccio, velati da uno strato di malinconia accompagnato da un sorriso gentile e timido. Non mi ci è voluto molto per capire che quel vecchietto aveva bisogno di compagnia: era solo; alla domanda che faccio generalmente alle persone ricoverate e che sono sole, su dove siano i loro parenti, mi ha risposto spiegandomi che non aveva più nessuno. Qualche mese prima era morto il fratello più giovane a causa di un tumore ed era l’unico legame affettivo che gli era rimasto. Non si era mai sposato né aveva avuto figli, così anche il fratello, con cui condivideva l’appartamento prima che morisse. Quindi niente nipoti né cognate, anche gli amici erano morti o comunque erano troppo vecchi e malandati per andarlo a trovare. Quell’uomo stava trascorrendo in completa solitudine i suoi ultimi anni di vita. Aveva bisogno di parlare, così cominciò a raccontarmi la sua storia. Una vita, a suo giudizio, piatta e insignificante, priva di grandi emozioni e momenti significativi. Lo stesso lavoro svolto per tutta la vita a partire dall’età di 18 anni, un’esistenza anonima trascorsa tra le mura di Siena, città dove è nato e cresciuto pur non sentendola davvero come la “sua” città. Si definiva uno straniero in patria, tanto era il senso di estraniazione che aveva sempre provato vivendo in quel luogo, pur non riuscendo mai a separarsene per mancanza di coraggio. Avrebbe voluto spostarsi e ricominciare da un’altra parte, nell’illusione che bastasse cambiare l’ambiente esterno per risolvere i propri dilemmi interiori e i propri problemi, ma non era mai riuscito ad andare fino in fondo.
Mi ha raccontato della prima e unica relazione della sua vita, avuta quando già aveva 50 anni. La prima e unica volta in cui si era innamorato; lei era più giovane di 14 anni, si conobbero ad una cena a casa di amici in comune e fu amore a prima vista. Mi disse che la loro relazione era durata 12 anni, poi lei lo aveva lasciato per un uomo più giovane di lui, e anche di lei.
“Quegli anni sono gli unici che abbiano avuto un significato in tutta la mia grigia esistenza” disse, con le lacrime agli occhi. “Ma, se ci ripenso oggi, credo di averla vissuta male, di essermi giocato male l’unica possibilità che ho avuto di essere felice nella mia vita. Non ho vissuto bene quella relazione, ero ossessionato da lei, l’ho aspettata per tutta la vita e avevo sempre il terrore di perderla, che svanisse magicamente così come magicamente e inaspettatamente era arrivata. Così ho dato troppo, la riempivo di attenzioni, cercavo di essere sempre presente, le facevo regali… temo di essere stato opprimente, la mia presenza deve essere stata ingombrante e noiosa così dopo 5 anni insieme, e 3 anni di convivenza, mi ha lasciato.”
“Ma non mi aveva detto che la relazione era durata 12 anni?” chiesi, esprimendo la mia perplessità.
“Sì, ma poi ci ho messo 7 anni per riprendermi dal trauma.”
Non aggiunse altro. Lo guardai negli occhi e chinai il capo in segno di assenso. Avevo capito perfettamente cosa intendesse dire. Potevo immaginare cosa fossero stati quei 7 anni. Le sue paure si erano concretizzate, lei lo aveva abbandonato e lo spettro di quell’esistenza grigia e inconsistente era tornato ad attanagliare la sua vita. Riuscivo a vedere le sue giornate di quei 7 lunghi anni, i rimpianti e i rimorsi che rodevano il suo animo, i pensieri negativi che lo tormentavano in ogni istante, le sensazioni e le emozioni scomode ad appesantire ulteriormente quelle giornate infernali, gli incubi a turbare il sonno, quelli ad occhi aperti a destabilizzare anche le ore diurne… quanto basta per sentirsi ancora legati ad un altro essere umano, anche se è sparito dalla nostra vita.
“Poi cosa è successo al termine di quei 7 anni?” chiesi.
“Mi sono rassegnato. Mi sono abituato all’idea della solitudine, e al mio destino. Ci si abitua anche al dolore, d’un tratto non senti più niente… succede così, senza neanche pensarci. Senza neanche volerlo. Succede e basta.”
Calò il silenzio. Non riuscivo a fare domande, era un terreno molto delicato e non volevo essere indiscreto. Lui distolse lo sguardo per qualche istante e si mise ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra della camera.
“Sa una cosa? Non mi pento di nulla, nonostante tutto. Ho un unico dispiacere, cioè che mi dovrò portare dentro la tomba questa cosa. Ora riesco a vedere lucidamente la mia storia, il mio problema e qual è stato il mio errore. Mi dispiace di non avere avuto l’occasione di provare a rimediare, di agire diversamente. Non ho avuto altre relazioni dopo quella, e, arrivato a questo punto della mia vita, alla mia età, non credo che avrò altre occasioni. Avrei voluto mettermi alla prova, cercare di capire, conoscermi meglio, provare a superare i miei blocchi e i miei limiti.”
“Di cosa avrebbe bisogno in questo momento? Qual é la prima cosa che vorrebbe fare quando uscirà da qui?”
Uso spesso questa domanda come “trucchetto” per cercare di alleggerire i pazienti. Un modo per ricondurli al presente e all’ascolto dei propri bisogni, cosi da distogliere l’attenzione da un passato troppo doloroso o un evento nefasto che porta loro ansia e pena.
Il vecchietto chiuse gli occhi e tirò un profondo sospiro. Poi li riaprì e mi guardo con quegli occhietti curiosi, tenendo le palpebre semichiuse, come se volesse studiarmi.” Ti sembrerà strano” disse “ma in questo momento ho un unico desiderio. Vorrei andare al cimitero e portare un fiore sulla tomba di mia madre. Le ho portato rancore negli ultimi anni perché le ho attribuito la colpa per i miei problemi. Ho pensato che mi avesse educato male, che non fosse stata una buona madre… vorrei andare a trovarla e portarle un fiore per farle capire che non la penso più così. L’ho perdonata. Vorrei dirle che le voglio ancora bene”.
Chiusi gli occhi anche io, forse per nascondere le lacrime. Mi stavo commuovendo. Sentivo che quel l’anziano signore mi aveva dato la migliore delle risposte possibili.
“Sono convinto che anche nell’ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino.” Giacomo Leopardi
Arsenio Siani
giovane volontario dell’AVO Siena