A. Morlini – Saper essere accanto e saper essere Associazione

Ultimiamo la pubblicazione di tre interventi della dott.ssa Morlini, inviatici dall’AVO Regionale Emilia-Romagna e prodotti in occasione di Corsi di formazione dell’AVO Correggio, utili spunti di interesse e approfondimento per tutti i volontari, nella speranza che siano seguiti da altri testi, inviatici da AVO locali e regionali, frutto della loro esperienza e adatti alla condivisione.

Corso di formazione di base AVO Correggio, 29 marzo 2011

1. In relazione con le persone e con il contesto: un modo esigente di vivere il servizio

L’Associazione Volontari Ospedalieri offre un prezioso servizio di contatto, di sostegno alle persone che stanno vivendo in situazione di sofferenza fisica e/o psicofisica, entrando in relazione, quando è possibile, con i loro familiari. I volontari, le volontarie cercano di interagire con le donne, gli uomini, i bambini, i giovani che incontrano in ospedale e in altri servizi residenziali socio-sanitari. Alcune persone desiderano rimanere da sole, con i propri cari e così scambiano con i volontari semplicemente un breve sguardo, un sorriso accennato, altre persone fanno volentieri quattro chiacchiere, poi si stancano, ci sono persone che si fanno aiutare, perché hanno bisogno di camminare un po’, di parlare apertamente con qualcuno che non è della famiglia, hanno difficoltà a mangiare, a bere da sole. I volontari incontrano anche persone in situazione grave, che non si muovono dal letto, che non riescono a orientarsi, che non comprendono, ne’ riconoscono. In questi casi le volontarie, i volontari cercano di interloquire con il/i familiare/i, a tratti non serve dire né fare qualcosa, in altri momenti è utile ascoltare, lasciando emergere i vissuti, l’esperienza, la fatica, le dense emozioni che si intrecciano in queste situazioni.

Queste brevi sottolineature mettono in luce un contenuto importante del servizio A.V.O.: la relazione – interazione con persone che vivono, per un tratto breve o prolungato, la sofferenza del corpo, della loro mente, con tutte le ansie e le preoccupazioni che ne conseguono. La malattia non sempre può essere affrontata con percorsi di guarigione, ci sono malattie croniche – degenerative, gravemente invalidanti, malattie che lasciano intravedere la morte come imminente. Emergono tante differenze riguardo al modo di vivere e affrontare la malattia, riguardo al rapporto con i familiari e con gli amici, nel merito del prendersi cura da parte dell’équipe clinico – assistenziale.

Le volontarie, i volontari dell’A.V.O. entrano in relazione con queste differenze di approccio, di percezione, di prospettiva, che sollecitano la curiosità/necessità di apprendere e di comprendere.

Questo contenuto – così vivo, così articolato – si intreccia con un altro tema significativo: il contesto del servizio A.V.O., inteso sia come organizzazione ospedaliera, di casa protetta, sia come ambiente sociale nel quale l’associazione si inserisce e opera. Si tratta di un contenuto che spesso rimane in secondo piano, proprio perché sembra meno pregnante del rapporto diretto con le persone in ospedale, con i loro familiari. Eppure il contesto è il mondo nel quale ci troviamo ad agire con altri interlocutori, la conoscenza del contesto ci aiuta a capire i problemi che incontriamo, ci offre la consapevolezza delle nostre risorse e dei nostri limiti, ci incoraggia a sentirci parte di una “avventura” esistenziale e sociale che ha bisogno del contributo di tutti.

Perché è così difficile, a tratti, riconoscere la complessità del contesto? Perché consideriamo il servizio, talvolta, disgiunto dal contesto organizzativo e sociale? Che cosa implica entrare in relazione con le persone e con il loro contesto?

“Saper essere accanto” al malato, ai suoi cari entra in relazione con il “saper essere associazione”, in particolare riguardo a tre aspetti:

  1. Lo stile con il quale offriamo/costruiamo il servizio, con il quale entriamo in rapporto con i malati, con i loro familiari, con gli infermieri, con i volontari dell’associazione. Lo stile non può coincidere solo con il nostro temperamento, con il nostro abituale modo di fare, abbiamo bisogno di tenerci in relazione con lo stile A.V.O., con gli apprendimenti che riusciamo a sviluppare, con la maturazione che riusciamo a conquistare. In che misura siamo interessati/e a confrontarci umilmente rispetto allo stile?

  2. La esplicitazione degli apprendimenti, delle problematiche che emergono dal servizio, dal rapporto con i colleghi volontari. Non siamo solo noi personalmente i detentori dell’esperienza di servizio, ci sono parti che hanno bisogno di essere condivise, approfondite, per diventare fonte di legame sociale, di solidarietà, per aprire a nuove acquisizioni, e inediti scambi emotivi, di pensiero.

Ci piace esplicitare i nostri contenuti, le impressioni, i vissuti che accompagnano l’esperienza, ascoltando e riconoscendo i contenuti, le impressioni, i vissuti dei volontari dell’associazione?

  1. La partecipazione, per quanto è possibile alla vita associativa. Come possiamo rigenerare il senso e l’utilità del servizio di volontariato se non costruiamo reciprocità con gli altri volontari? Come possiamo accompagnare i volontari, rispettando le loro diverse aspettative, i loro vincoli, le loro potenzialità?

2. La vita associativa tra fatiche e soddisfazioni

In relazione alla mia esperienza penso sia utile ricomprendere le fatiche dei volontari e delle volontarie – nel prendere parte alla vita associativa – in tre spunti, fra loro intrecciati:

  1. La motivazione al servizio di volontario è personale, intima, forse solo in parte esplicita. Non sembra immediatamente naturale la condivisione in gruppo, in associazione. Lo slancio individuale può incontrare difficoltà nell’inserimento associativo, dove convivono motivazioni altrettanto significative, ma con peculiarità e modalità di esprimersi talvolta diverse e non semplici da comprendere. Diventa strategico per l’associazione dedicare energie alla messa in luce, anche parziale, di queste motivazioni, non tanto per indagarle, quanto per offrire un percorso di consapevolezza, graduale e morbido, rispetto alle ragioni che spingono i volontari a ingaggiarsi nel servizio. In alcune occasioni il modo di vedersi reciprocamente può produrre grosse fatiche: “Alcune volontarie e due volontari del gruppo al quale appartengo sono proprio invidiosi del mio entusiasmo, della mia voglia di impegnarmi. Pensano di me che io voglia comandare tutti, solo perché ho a cuore il servizio, le riunioni, le gite, il futuro dell’AVO nella nostra provincia. Questo fatto mi fa proprio star male”. Possono esserci sentimenti contradditori e sfidanti, può servire intendersi riguardo alle misure diverse di impegno, condividendo che cosa è sentito utile, che cosa è avvertito eccessivo e improprio.

  2. Le energie e il tempo per l’impegno volontario sono spesso limitati, perché allora dedicarsi anche agli incontri in gruppo? Sembra più utile fare ciò che è immediatamente visibile e concreto come il servizio in reparto. Se poi resterà tempo potremo pensare alla vita associativa. In alcune situazioni è difficile tenere insieme servizio e associazione. “L’associazione chiede troppo a noi volontari, sembra non rendersi conto della nostra vita: il lavoro, i figli, in questo periodo anche la suocera da accudire. Un conto è il servizio, un conto è il tempo per scambiarsi le nostre opinioni. Se riesco vado, altrimenti resto a casa e penso di essere in regola con tutti”. Probabilmente il punto chiave non è la quantità di tempo offerto agli incontri in gruppo, oltre al servizio settimanale. È la modalità di rapporto con il gruppo e l’associazione nel suo insieme il punto di svolta. Da volontario posso lamentarmi e chiudermi a riccio oppure posso sentire le mie difficoltà di tempo disponibile e cercare di interagire con i colleghi volontari che esercitano funzioni di responsabilità, per poi concordare una modalità di partecipazione più essenziale e mirata. In realtà sembra difficile negoziare con l’associazione: “Ma cosa sto a perdere tempo nel segnalare i miei problemi, tanto l’associazione va avanti comunque, siamo solo volontari”; “La mia responsabile di gruppo penso non capirebbe mai le mie motivazioni, probabilmente si arrabbierebbe, come fa di solito, dicendo che non prendiamo sul serio il nostro servizio, che non abbiamo voglia di impegnarci nell’associazione perché non sentiamo il vero spirito di appartenenza”: Sembra faticoso rappresentarsi le reciproche difficoltà: volontari e responsabili rischiano di muoversi in modo distante e contrapposto, vivendo in solitudine rabbie e incertezze.

  3. La relazione con gli altri volontari del gruppo e dell’AVO nel suo insieme ci pone in una situazione di apertura, forse non sempre desiderata: diversità di percezione, di età, di strategie, di stili di servizio. A tratti può risultare faticoso il confronto e lo scambio di esperienze, oltre che di saperi. Il servizio con il malato dà soddisfazione, il contatto con i colleghi di gruppo può arricchire, ma anche stancare. È possibile sentire emozionante il rapporto con il malato e deludente la relazione con il collega volontario? È peculiare del contatto fra persone vivere sentimenti compositi: emozioni gratificanti eppure anche senso di impaccio e di fatica, vissuti di noia eppure anche senso di parziale condivisione, dispiacere, impotenza, eppure anche calore, tenerezza. La paura di aprirci a emozioni diverse da quelle attese può fare emergere fatica e disorientamento. Probabilmente anche per i gruppi AVO è importante riconoscere le diversità di desideri e percezioni dei volontari, lavorando alle forme possibili di ricomposizione e di organizzazione.

Cerco di addentrarmi nelle tre principali aree di soddisfazione, considerandole altrettante sfaccettature delle fatiche, delle difficoltà.

    1. La possibilità di ritrovare spunti e stimoli inattesi, eppure significativi. Nel percorso con gli altri volontari è possibile talvolta riscoprire le ragioni del servizio, il significato che ha la continuità e il radicamento dell’esperienza AVO nel territorio. In questo i volontari possono trovare gioia e riconoscimento. “Qualche anno fa mi sentivo demotivato e stanco, non capivo più perché continuavo ad impegnarmi nel servizio ogni settimana. Allora ho chiesto qualche mese di aspettativa. Quando sono rientrato per prima cosa la responsabile mi ha chiesto di partecipare, se lo desideravo, alla riunione di gruppo. Mi sono sentito a mio agio, ben accolto e incoraggiato a riprendere, se mi faceva piacere, da allora il gruppo e le riunioni insieme agli altri volontari sono molto significative”. Diversi volontari riconoscono l’utilità dell’appartenenza associativa proprio nella riscoperta di significati e possibilità che altrimenti non sarebbero emerse. Altri volontari apprendono nel percorso associativo la effettiva consistenza dell’organizzazione della quale sono parte.

    2. La parzialità del tempo a disposizione rischia di farci tribolare e correre sempre di più. Se ci diamo l’opportunità di comprendere il senso delle potenzialità, che i volontari hanno, possiamo forse orientarci meglio nel servizio, sentendo e vedendo il valore effettivo del nostro contributo. Può dare gioia cogliere la propria parte in relazione al contributo degli altri volontari. Solo così ci rendiamo conto della effettiva fisionomia del servizio offerto dall’AVO. Così raccontano, alcuni volontari, la soddisfazione di comprendere i colleghi e di sentirsi, al contempo, da loro compresi. Sembra importante il contatto effettivo con altri per collocare il valore dell’impegno personale: “Nella riunione con i volontari del gruppo, nelle assemblee associative condividiamo i nostri diversi andamenti, ci confrontiamo un po’ e riprendiamo l’impegno settimanale con maggior senso del limite e dell’utilità parziale del nostro esserci”. Rintraccio in Elias Canetti suggestive comprensioni a questo riguardo: “Quante più cose tocchiamo in noi stessi, tanto più ricche ed esatte saranno le idee che potremo farci dell’umanità in genere”.

    3. La diversità individuale se viene lasciata a se stessa, senza ricomposizioni associative, rischia di non produrre legami solidali in grado di testimoniare lo spirito del volontariato. Fare il servizio non è forse un modo per esprimere vicinanza umana, intesa come socialità condivisa, come legame con i disagi e le potenzialità delle persone assieme alle quali viviamo nel nostro territorio? È interessante per l’Associazione Volontari Ospedalieri sentirsi parte della società attuale?

Antonella Morlini