Educatore e AVO
Verso l’umanizzazione della cura in ospedale

Il ricovero ospedaliero può costituire una delle esperienze più destabilizzanti nella vita di una persona. Esso andrebbe affrontato con un approccio globale che valuti non solo l’aspetto prettamente sanitario ma anche quello sociale e assistenziale. In quest’ottica, il volontario dell’AVO e l’educatore professionale si rivelano figure necessarie per far fronte ai bisogni espressi dal malato. Questa necessità è stata verificata nel 2017 con l’avvio della collaborazione tra il corso di laurea in educazione professionale e l’AVO.

L’Associazione Volontari Ospedalieri (AVO) fornisce principalmente ascolto e calore, partendo dal concetto di umanizzazione della cura ovvero la concezione che il malato non è un mero portatore di una patologia bensì una persona con i suoi sentimenti e le sue credenze rispetto al proprio stato di salute ed escludendo mansioni tecnico professionali. Invece l’educatore professionale è colui che, in seguito ad una formazione universitaria, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, con il fine ultimo di favorire il benessere dell’individuo. Egli agisce nella complessità del sistema, in modo tale da affrontare con attenzione la globalità della persona e le problematiche vissute dai pazienti. Il progetto di inserimento dell’educatore in ospedale è attualmente in fase sperimentale ed è portato avanti dall’Università degli Studi dell’Insubria in collaborazione con alcune strutture Ospedaliere della città e della provincia di Varese. A partire da queste considerazioni si può dedurre che il ruolo e la funzione dell’educatore professionale e l’Associazione Volontari Ospedalieri (AVO) presentano punti di contatto che sollecitano ad avviare una collaborazione e rendere così più efficace la mission comune: aiutare il paziente a percepirsi come soggetto attivo nella cura del proprio stato di salute.
Questa collaborazione è nata a Varese presso l’unità SSD cure sub acute dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi. Il reparto sub acuti rappresenta il passaggio intermedio tra la fase acuta ed il rientro al domicilio: un passaggio durante il quale i pazienti vengono ulteriormente stabilizzati e possono completare il percorso clinico e diagnostico, prevenendo così anche rischi di ricadute. L’attivazione di tale unità rientra nell’ambito delle azioni previste dalla Regione Lombardia per rispondere meglio alle esigenze del Pronto Soccorso. I principali obiettivi del reparto sono ridurre i tempi di degenza negli iper acuti e supportare le famiglie attraverso un affiancamento anche a livello burocratico, dal momento delle dimissioni del paziente. In questo contesto l’equipe medica ha aderito alla sperimentazione della figura dell’educatore in reparto e così, da febbraio 2017, educatori tirocinanti frequentano l’unità creando progetti educativi e portando avanti quelli dei loro predecessori, ottenendo risultati sempre più positivi. I primi tirocinanti dovevano studiare il contesto per capire dove intervenire. Con il passare dei giorni videro una persona con il camice che ascoltava il paziente con molta dedizione e così conobbero l’associazione AVO. Gli uni non erano a conoscenza della presenza degli altri e così, dopo diversi incontri decisero di unire le forze. Il primo progetto avviato da una educatrice tirocinante in collaborazione con l’AVO fu quello della sistemazione dello spazio fisico della sala d’attesa. Il progetto “un frammento di casa” potrebbe sembrare a molti banale (“E’ una sala, cosa vuoi che sia?”) ma è un’alternativa al rimanere tutto il tempo in stanza, in poltrona o sul letto. Uno scarso utilizzo della saletta porterebbe a sovraffollare le stanze dei malati di parenti/visitatori durante le ore di visita, arrecando così un disagio sia al personale sanitario che ai parenti stessi, poiché questi ultimi non potrebbero avere né un adeguato livello di intimità con la persona in convalescenza nè comodità per via di uno spazio che non è predisposto a tale scopo. La collaborazione tra educatore e volontario AVO ha permesso la buona riuscita del progetto: spesso alcuni pazienti decidevano di mangiare fuori dalla stanza o di giocare in gruppo a carte o soltanto andare lì per leggere un bel libro o il giornale. Con il tempo la saletta è diventata un luogo dove poter respirare quel quotidiano che la lunga convalescenza in ospedale aveva fatto dimenticare. In seguito, i tirocinanti hanno portato avanti altri progetti come il gruppo lettura, attività vestibolari o l’autobiografia.
Attraverso quest’ultima, i pazienti raccontano dei pezzi della loro vita per aprire una riflessione o anche solo per dare una traccia della loro esperienza. In ospedali sempre più tecnologici, che tendono a ridurre l’attenzione per lo stato d’animo del paziente, l’educatore professionale e i volontari dell’associazione AVO si fanno carico della persona convalescente e dei suoi familiari, attraverso una vicinanza emotiva. Questa loro collaborazione dimostra che il bisogno di restituire anima al mondo ospedaliero è reale e che si può
ottenere unendo le forze.

Dott.sa Dafne Maura Murella
Educatore professionale